"Quando l’associazione LabUr (Laboratorio di Urbanistica) ha segnalato questi vantaggi concessi a Balini dalla pubblica amministrazione, i suoi membri sono stati denunciati per diffamazione; dopo sette anni di processo sono stati assolti con formula piena. Inoltre, la Procura ha usato le loro denunce per condannare Balini".
Come si vede oggi con le Autostrade, la questione delle “grandi opere” è strettamente legata a quella delle concessioni, diventate quasi sempre macchine per l’arricchimento di imprenditori privati a scapito di risorse importanti per la collettività. Uno degli esempi migliori è quello del Porto Turistico di Roma a Ostia, la grande opera a cui il Comune di fine anni Novanta affidò la “rinascita” del litorale romano. Il titolare della concessione, l’imprenditore Mauro Balini, è stato condannato il 27 giugno scorso a cinque anni e sei mesi per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, in uno dei filoni dell’inchiesta Mafia Capitale. Tutta la vicenda del porto riassume le infinite strategie con cui un imprenditore sfrutta il meccanismo della concessione per arricchirsi, togliendo agli abitanti di Ostia le spiagge, l’accesso al mare, addirittura le case. Oggi su quell’area è previsto un nuovo investimento statale di quindici milioni, fondi CIPE, ancora con la scusa di “riqualificare” l’area. A maggio abbiamo raccontato le vicende del Porto della Concordia a Fiumicino, ora parliamo di quello dall’altro lato del Tevere: il Porto Turistico di Roma.
Il progetto fu giustificato dall’allora sindaco Rutelli per far rinascere una
zona impoverita dalle peggiori politiche urbanistiche dal dopoguerra a oggi.
Gli abitanti dei due quartieri di Nuova Ostia e Idroscalo avrebbero dovuto
ottenere lavoro e indotti commerciali dalle imbarcazioni da diporto ancorate di
fronte alle loro abitazioni. Nuova Ostia è
il quartiere nato dalla deportazione di migliaia di cosiddetti baraccati negli
anni Settanta, e Idroscalo
l’ultimo borghetto di Roma, dove è
ancora più o meno tollerata l’autocostruzione. Entrambe le zone sono state
tenute artificialmente fuori dalle norme per decenni: il ricatto del “degrado”
e il clamore mediatico sulla “legalità” che ha investito la zona dopo
l’inchiesta Mafia Capitale hanno fatto sì
che chiunque si opponesse alle politiche speculative autorizzate dalle
amministrazioni venisse bollato come nemico della prosperità, amante
dell’illegalità e addirittura come colluso con la mafia.
Eppure, se c’è un simbolo dell’illegalità in questa parte
di Roma, è sicuramente il porto, che condensa una storia di imprenditoria
speculativa e di politica corrotta che dura da un ventennio. Con l’ordinanza
sindacale n. 7 del 21 gennaio 1999, cinquantaseimila metri quadri di spiaggia
(quindi demaniali) vengono concessi dalla regione Lazio e dal comune di Roma all’Associazione Turistica e Immobiliare S.p.A.
(ATI), creata dall’imprenditore Mauro Balini.
Si suppone che i soldi con cui è stato costruito il porto vengano dagli indotti
dello zio, Vittorio Balini, che negli anni
Ottanta aveva venduto a Silvio Berlusconi
i diritti della serie televisiva Dallas. Nel
giro di due anni, l’ultima fascia di litorale prima della foce del Tevere – la spiaggia che
costeggia Nanni Moretti in Vespa nella famosa scena di Caro diario – viene
cementificata e chiusa da un muro lungo un chilometro.
MURO E TORNELLO
Il porto viene inaugurato da Rutelli il 23 giugno 2001. L’accordo di programma tra il Comune e il concessionario prevedeva la creazione di un Collegio di Vigilanza per verificare il corretto operato della gestione, anche in termini di verifica dei bilanci dell’utenza. Questo collegio non verrà mai istituito. L’ATI, dal canto suo, non ha mai pagato le concessioni demaniali, dal giorno dell’inaugurazione fino almeno al 20 gennaio 2017; né ha mai completato le procedure per l’iscrizione del porto nella Concessione Demaniale Marittima, sfruttando una leggina per le concessioni fluviali – cosa che, da sola, varrebbe l’annullamento della concessione. Quando l’associazione LabUr (Laboratorio di Urbanistica) ha segnalato questi vantaggi concessi a Balini dalla pubblica amministrazione, i suoi membri sono stati denunciati per diffamazione; dopo sette anni di processo sono stati assolti con formula piena. Inoltre, la Procura ha usato le loro denunce per condannare Balini.
Il porto viene inaugurato da Rutelli il 23 giugno 2001. L’accordo di programma tra il Comune e il concessionario prevedeva la creazione di un Collegio di Vigilanza per verificare il corretto operato della gestione, anche in termini di verifica dei bilanci dell’utenza. Questo collegio non verrà mai istituito. L’ATI, dal canto suo, non ha mai pagato le concessioni demaniali, dal giorno dell’inaugurazione fino almeno al 20 gennaio 2017; né ha mai completato le procedure per l’iscrizione del porto nella Concessione Demaniale Marittima, sfruttando una leggina per le concessioni fluviali – cosa che, da sola, varrebbe l’annullamento della concessione. Quando l’associazione LabUr (Laboratorio di Urbanistica) ha segnalato questi vantaggi concessi a Balini dalla pubblica amministrazione, i suoi membri sono stati denunciati per diffamazione; dopo sette anni di processo sono stati assolti con formula piena. Inoltre, la Procura ha usato le loro denunce per condannare Balini.
Il porto sembra progettato per impedire l’accesso agli
abitanti della zona che avrebbe dovuto far “rinascere”. Dall’Idroscalo, per accedere a
questa opera definita pubblica, bisogna passare un tornello di ferro che sembra
disegnato per scoraggiare il transito, e che chiude la sera. Per scongiurare le
proteste degli abitanti, Balini ha
usato la tipica strategia del dividere per comandare: nel 2001 ha firmato un accordo
segreto con un consorzio che raccoglieva diversi abitanti delle case
auto-costruite della zona, impegnandoli a sostenere il porto in cambio degli
allacci all’acqua e alle fogne, e di un canale privilegiato per ottenere
lavoro. Le promesse non sono mai state mantenute. In più, il muro del porto
blocca il deflusso della pioggia a mare: le immagini della strada inondata
vengono sistematicamente usate per gettare discredito sul quartiere. Il
discredito alimenta un altro progetto di Balini: quello di far demolire le
cinquecento case auto-costruite dell’Idroscalo per
farne una zona verde (pubblica) a uso dei proprietari (privati) degli yacht.
Quando nel 2010 l’allora sindaco Alemanno cavalcò una finta
emergenza a mare per far buttare giù trentacinque case, senza neanche avvisare
gli abitanti che furono deportati con la forza nei residence, i loro vicini
rimasti di fronte alla zona di demolizioni collegarono l’operazione alle mire
espansionistiche del porto e all’accordo con il consorzio. Il consorzio infatti
aveva promesso a Balini che
avrebbe collaborato a sgomberare gli abitanti non consorziati. La frattura
creata nel quartiere oggi è insanabile.
Nel 2013 Balini fu
coinvolto nell’operazione denominata Alba Nuova
della Direzione distrettuale antimafia, che portò all’arresto di cinquantuno
persone accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso. Al centro
delle indagini c’era anche il traffico di influenze per un’altra delle
ambizioni di Balini: il raddoppio dei posti barca del porto, attraverso la
costruzione di un altro braccio a mare. Balini sperava di ottenere un investimento
di cento milioni da parte di Unipol, ma
per ottenerlo mise in campo una strategia che coinvolgeva un generale della
guardia di finanza, Emilio Spaziante,
e un avvocato dello studio del ministro Tremonti, Dario Romagnoli. La squadra
mobile di Roma, che intercettò l’avvocato
Romagnoli per mesi per un’altra
vicenda di tangenti, considera “quantomeno verosimile che Mauro Balini, Emilio Spaziante e Dario Romagnoli siano
accomunati da uno spirito collaborativo di natura illecita”.
Nel 2012 Spaziante
procurò a Balini un documento che questi
provvide a far falsificare da un altro suo collaboratore, il narcotrafficante Cleto de Maria, per
consegnarlo, taroccato, all’Agenzia delle Entrate,
l’ente che può destinare un bene demaniale ai privati. L’avvocato Romagnoli intanto riuscì a
coinvolgere il ministro Tremonti per
ottenere il finanziamento di Unipol. A
inizio 2013 il gruppo aveva trovato non solo i soldi ma il socio per
l’operazione di ampliamento: l’associazione Italia
Navigando, partecipata da Sviluppo
Italia, quindi dal ministero del tesoro.
Nel 2013 arriva il fallimento dell’ATI S.p.A. Il pm Alberto Galanti aveva chiesto
otto anni di carcere per Balini,
considerando che il crack da diciotto milioni era il risultato di “un complesso
disegno espoliativo” architettato dal titolare della concessione per incamerare
i finanziamenti. La pena è stata abbassata perché per alcuni reati è stato
disposto il non luogo a procedere: l’accusa di corruzione per Spaziante, a cui Balini aveva messo a
disposizione un’imbarcazione di pregio in cambio di “condizionamenti
favorevoli” per i controlli tributari, e l’accusa a Balini di aver tentato di
corrompere il consigliere comunale Luca Gramazio
(Pdl) per orientare la Giunta ad
autorizzare l’ampliamento. Agli atti dell’inchiesta c’è la registrazione di una
riunione nella quale il consigliere rimproverava Balini di non aver mantenuto
gli impegni, e questo rispondeva promettendo “due unità immobiliari che
garantiscono il debito”. Denaro in cambio di favori. Ma il reato è caduto in prescrizione,
e Luca Gramazio oggi è libero.
NUOVE POLITICHE CLIENTELARI
Balini a Ostia è noto per le sue frequentazioni con il narcotrafficante De Maria e con il detenuto Roberto Giordano, detto Cappottone, autore dell’attentato a Vito Triassi: Balini manteneva la sua famiglia. Per i magistrati, Balini sarebbe legato niente meno che a ex membri della Banda della Magliana. Di questa rete faceva parte anche l’allora presidente del Municipio, Andrea Tassone (Pd), poi condannato nell’inchiesta Mafia Capitale, e che a poche settimane dalla sua elezione aveva dichiarato a Repubblica: “Mauro Balini è amico mio”. Nonostante queste evidenze, le varie amministrazioni (municipali, comunali e regionali) hanno continuato a concedere a Balini permessi e agevolazioni senza neanche aspettare l’esito delle indagini. A novembre 2013 l’ex comandante della capitaneria di porto Lorenzo Savarese ha ammesso che “le carte, così come predisposte, confermano l’estensione della concessione demaniale” per altri diciotto anni. “L’atto dev’essere registrato, certo, ma le ultime firme di approvazione della regione Lazio risalgono allo scorso settembre”, ha dichiarato. A disattendere il dovuto principio di cautela di fronte a questa storia di malaffare, insomma, è stato per primo il presidente della Regione e segretario del Pd Nicola Zingaretti, il quale ha prolungato la concessione a Balini fino al 2053.
Balini a Ostia è noto per le sue frequentazioni con il narcotrafficante De Maria e con il detenuto Roberto Giordano, detto Cappottone, autore dell’attentato a Vito Triassi: Balini manteneva la sua famiglia. Per i magistrati, Balini sarebbe legato niente meno che a ex membri della Banda della Magliana. Di questa rete faceva parte anche l’allora presidente del Municipio, Andrea Tassone (Pd), poi condannato nell’inchiesta Mafia Capitale, e che a poche settimane dalla sua elezione aveva dichiarato a Repubblica: “Mauro Balini è amico mio”. Nonostante queste evidenze, le varie amministrazioni (municipali, comunali e regionali) hanno continuato a concedere a Balini permessi e agevolazioni senza neanche aspettare l’esito delle indagini. A novembre 2013 l’ex comandante della capitaneria di porto Lorenzo Savarese ha ammesso che “le carte, così come predisposte, confermano l’estensione della concessione demaniale” per altri diciotto anni. “L’atto dev’essere registrato, certo, ma le ultime firme di approvazione della regione Lazio risalgono allo scorso settembre”, ha dichiarato. A disattendere il dovuto principio di cautela di fronte a questa storia di malaffare, insomma, è stato per primo il presidente della Regione e segretario del Pd Nicola Zingaretti, il quale ha prolungato la concessione a Balini fino al 2053.
L’esplosione del caso Mafia
Capitale porta nel 2015 al commissariamento del Municipio di Ostia, proprio per il
coinvolgimento del presidente Tassone negli
affari illeciti di Buzzi e Carminati. I membri del Pd non coinvolti direttamente
dalle indagini hanno cercato di fingersi paladini della giustizia e
dell’antimafia, con il duplice obiettivo di salvare la faccia ma anche, paradossalmente,
di assegnare altri beni pubblici ai loro amici, fuori dai controlli abituali
che regolano questo tipo di concessioni. Così i favoritismi continuano anche
dopo il sequestro del porto per bancarotta fraudolenta.
Dal 2013 i locali vengono posti sotto la gestione
fallimentare e gettati nel grande calderone mediatico di Mafia Capitale, che con la
retorica dell’urgenza e della legalità permette un enorme grado di arbitrio
politico sulle assegnazioni, diventando l’ennesimo meccanismo per autorizzare
politiche clientelari. Le due amministrazioni giudiziarie che hanno gestito i
locali – fino a ottobre 2016 Massimo Iannuzzi,
poi Donato Pezzuto – si sono
caratterizzate entrambe per l’arbitrio nelle assegnazioni. Un immobile è stato
destinato a diventare la nuova sede della Polizia
di Roma Capitale Gruppo Mare, un gesto a forte contenuto
simbolico. Ma l’immobile non ha le caratteristiche adatte e il provvedimento ha
suscitato le proteste del sindacato di polizia. Nel 2017 si annuncia la
creazione di una “palestra della legalità” nei locali del porto, per sostituire
la palestra di Nuova Ostia
gestita da Roberto Spada, il pugile arrestato nel 2017 per la capocciata al giornalista Daniele Piervincenzi. Ma la
onlus che doveva gestirla, l’Ipab Asilo Savoia,
viene scelta senza alcuna evidenza pubblica, senza passare per l’Anbsc (Associazione nazionale per l’amministrazione
dei beni sequestrati alla criminalità organizzata), e senza
l’accordo con il prefetto Vulpiani che
guidava il Municipio dopo il
commissariamento. L’assegnazione avviene sotto la garanzia politica del ministero
di giustizia e con la copertura economica della Regione, anche se l’immobile è
situato fuori dall’area demaniale, quindi fuori dalla competenza regionale, e
vincolato invece all’accordo con il Comune. Il Fondo
Antiusura di Ostia (Volare Onlus) la presenta come
“un passo ulteriore con l’assegnazione dei locali confiscati alla mafia”. Ma
anche se inquadrata in un’azione antimafia, l’accusa a Balini era di riciclaggio,
impiego di proventi illeciti, intestazione fittizia dei beni e associazione a
delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta. Non di associazione di
stampo mafioso.
Dopo la vicenda della palestra, Pezzuto ha formato un
protocollo d’intesa con la Federazione Italiana Vela,
per realizzare nel porto un anno di attività turistiche che avrebbero dovuto
coinvolgere il quartiere dell’Idroscalo.
Gli abitanti del quartiere non sono mai stati coinvolti, e non si capisce quale
fosse il fine sociale. La retorica “degrado/mafia” e quella parallela
“riqualificazione/legalità” sono usate per legittimare assegnazioni arbitrarie
e gestioni clientelari. Così come la campagna mediatica montata sulla palestra
di Roberto Spada, il
coinvolgimento di realtà territoriali presentate come degradate o pericolose,
serve a dimostrare che queste operazioni hanno una finalità sociale, rendendole
più difficili da contrastare.
In questa luce dobbiamo leggere tutti gli eventi avvenuti
intorno al porto, che ci vengono sempre presentati come ingarbugliati quando
non oscuri, questioni che riguardano un territorio incomprensibile, proprio per
non permetterci di vedere il disegno generale. Che è, chiaramente, un durevole
sistema di trasferimento di risorse dal pubblico al privato, in cui gli
imprenditori ottengono tutti i benefici, il pubblico tutte le perdite, mentre i
territori vengono devastati, cementificati, gli abitanti ingannati e
all’occorrenza strumentalizzati. Oggi Mauro Balini
è stato condannato, e da indiscrezioni sembra che sia stato disposto il
dissequestro del porto da tutto ciò che è stato realizzato dal 2013 a oggi. A
un anno dalle elezioni, adesso torna in auge anche il progetto del suo
ampliamento, cioè la realizzazione di un nuovo braccio di due chilometri e
mezzo per raddoppiare i posti barca: un’opera dannosa che determinerà la
sparizione anche dell’ultima spiaggia dell’Idroscalo,
che speravamo fosse stata abbandonata con il processo a Balini.
Nei mesi che seguono ci troveremo a dover combattere
decine di battaglie sulle nuove grandi opere in corso di autorizzazione con la
scusa della rinascita dopo l’emergenza Covid.
L’esempio di Ostia ci
serve a ricordare che non possiamo misurare il nostro appoggio a un progetto
solo sul breve termine, e che dobbiamo invece pensare a quanti danni,
ecologici, sociali e politici, possono provocare queste iniezioni di capitali e
di cemento sui nostri territori.
(paula de jesus / stefano portelli per Napoli Monitor
(paula de jesus / stefano portelli per Napoli Monitor