“Tutte le famiglie felici si somigliano” è l’incipit di
uno dei capolavori della letteratura russa e della storia della famiglia
Sarchioto. Al Palevespucci c’erano quasi
tutti, c’era l’Imperium Boxe, sede ufficiale Latina Scalo. Fondata da Salvatore,
ex mediomassimo dal pugno pesante negli anni ’80, è tra le più attive del
Lazio, dove ha trasmesso la sua passione per questa disciplina ai due figli,
Francesco e Giovanni, che hanno raccolto l’eredità con risultati più che
lusinghieri. Nonostante il grande tifo sugli spalti per Azzarà, la famiglia
Sarchioto faceva un rumore assordante con la sua unità, la sua serenità, una
grande famiglia, semplice, felice come in un giorno di festa. Nella boxe è
merce abbastanza rara, e forse non solo nella boxe, e dunque poco importa che
tutte le famiglie felici si somiglino.
Francesco Sarchioto, pesi welter, ha vinto contro Jorge Dos Santos, cimentandosi sulle 6 riprese, sabato 22 Aprile, nei 2 match pro organizzati dalla Champion Club e Paciucci Boxing Team. L’esordio di Francesco è avvenuto quest’anno, e con suo fratello Giovanni, ora nell’esercito, ha dato grandi speranze di rispolverare gli splendori della boxe di Anzio-Lavinio-Nettuno, che ha scritto pagine importanti nella storia di quest’area del Litorale laziale. Una famiglia intera che si dedica con abnegazione al pugilato. Francesco, residente con la sua famiglia ad Anzio, ha solo 21 anni. Lo osservo mentre il suo Procuratore, il Maestro Marcello Paciucci, pratica sulle sue mani l’arte del bendaggio, che solo i procuratori possono fare. E’ tranquillo, concentrato, determinato, sicuro. Attorno a lui i dilettanti della squadra si scaldano. Salvatore c’è per tutti loro, sono tutti figli suoi mi dirà, con le sua voce bassa e calma.
“La mia famiglia è molto importante. Mi supporta, mi dà forza, viviamo amando la boxe” – mi dice Francesco - “A partire da mio padre che è Maestro sul ring e nella vita, che ci ha trasmesso la sua passione, ma anche mia madre ormai si è legata completamente alla boxe”. La salita a Campione di Italia nella sua categoria è ancora lunga, ma Francesco è fiducioso di chi lo segue e dei suoi mezzi: “Ce la metterò tutta, insieme al mio Maestro e a Paciucci. Sto in palestra tutto il giorno, mi alleno, mi dedico agli amatoriali e a far crescere l’agonismo, insomma do una mano a mio padre. Diventare un pugile è stato il mio sogno sin da bambino, nonostante mio padre cercasse di indirizzarci verso altri sport. Aspettavo solo di crescere per iniziare, mentre guardavamo gli incontri di Marvin Hagler, Sugar Leonard. Poi crescendo è cambiata anche la boxe, si è evoluta, come tutti gli sport. Mayweather è un idolo per tanti di noi, ma il pugilato che sento più vicino a me è quello di Hagler. Colpi alla lunga e media distanza, decisi”.
Mi sembra quasi impossibile immaginare che la parola ‘sconforto’ appartenga al suo vocabolario e invece Francesco ha l’umiltà di dire che c’è stato un momento in cui ha messo in dubbio di entrare nella categoria professionisti. “Categoria dilettanti, 60 match, è un ottimo numero, ma se sali sul ring e non ci sei con la testa, rischi di perderti e non sai nemmeno spiegarti il perché. In quel momento la mia famiglia non solo mi è stata vicina, ma ha saputo mettermi davanti alla verità che senza la boxe sarei stato peggio”. E torna a parlare di famiglia, una famiglia normale, una famiglia felice, di avere la sua vita fatta di pugilato nella palestra Imperium Boxe, con tutto quello che comporta. Sacrifici, lavoro e la frase che campeggia anche nel video di presentazione “Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto?”
“La boxe non è per tutti, soprattutto quella agonistica. Ieri la cosa che mi è piaciuta di più dell’incontro era la mia lucidità. Ho compreso subito gli sbagli, le cose che dovevo inserire, quelle che andavano bene e quelle che dovevo migliorare. Sono ancora un po’ rigido e su questo mi differenzio da mio fratello che invece è un estroso e per il quale nutro profonda stima perché è davvero talento”.
Scopro che a differenza di molti pugili che studiano l’avversario guardando e riguardando i loro match, a Francesco piace l’effetto sorpresa, scoprirli sul ring, anche perché ha cieca fiducia nel suo Procuratore. “E’ vero che mi sento più portato verso una boxe attendista e quando incontro un picchiatore mi invita a nozze. Se ho di fronte un pugile poco regolare mi appello alla mia freddezza, alla mia lucidità, alla velocità delle mie gambe, a non dargli spazio, perché anche se il suo valore è minore può sempre rovinarti il match. Quello che è importante è la concentrazione prima di ogni incontro. Mi limito a riscaldarmi, due colpi col Maestro, qualche figura, niente cuffiette o musica a palla. Poi ascolto l’angolo, sempre”.
Il padre Salvatore è soddisfatto “Era un match che poteva finire prima, ma va bene così, sono i primi match e deve ancora fare tanta esperienza, ha cominciato adesso. Ma sono fiero di lui. In palestra è un soldato, molto serio, con forte senso della disciplina, e le rinunce, a 21 anni, per una passione come la boxe, sono tante. A me spetta il compito di tenere ferme le briglie, altrimenti perdi il cavallo. Il professionismo è una cosa seria ma ti devi comunque divertire. Tra i miei due figli, di cui sono orgoglioso, Francesco è quello che mi assomiglia di più caratterialmente. Spero che Paciucci continui a credere in lui perché credo che ci toglieremo belle soddisfazioni”. E aggiunge “Io ho grande stima per chiunque salga sul ring. Servono cuore, ma soprattutto tanto allenamento, cosa che io non ho fatto perché consideravo la palestra un gioco. E’ necessario invece il sacrificio, perché è uno sport che ti priva di tante cose, dall’alimentazione, agli amici, agli svaghi. Quello che sento per i miei figli lo sento per tutti gli altri miei ragazzi. Se prendono un cazzotto è come se lo prendessi io. L’ansia c’è sempre. Smanio, certo, ma come Maestro cerco di infondergli sicurezza. La palestra mi ripaga di molti sacrifici, soprattutto quando vedi un ragazzo, magari che si è perso, rimettersi sulla sua strada. E’ uno sport bellissimo, che educa, che aiuta. Se tornassi indietro rifarei tutto quanto. Arriverà per Francesco quel guizzo che gli farà scattare la molla di credere che può dare il 100%, mentre ora è solo a metà della sua potenzialità”.
Francesco Sarchioto, pesi welter, ha vinto contro Jorge Dos Santos, cimentandosi sulle 6 riprese, sabato 22 Aprile, nei 2 match pro organizzati dalla Champion Club e Paciucci Boxing Team. L’esordio di Francesco è avvenuto quest’anno, e con suo fratello Giovanni, ora nell’esercito, ha dato grandi speranze di rispolverare gli splendori della boxe di Anzio-Lavinio-Nettuno, che ha scritto pagine importanti nella storia di quest’area del Litorale laziale. Una famiglia intera che si dedica con abnegazione al pugilato. Francesco, residente con la sua famiglia ad Anzio, ha solo 21 anni. Lo osservo mentre il suo Procuratore, il Maestro Marcello Paciucci, pratica sulle sue mani l’arte del bendaggio, che solo i procuratori possono fare. E’ tranquillo, concentrato, determinato, sicuro. Attorno a lui i dilettanti della squadra si scaldano. Salvatore c’è per tutti loro, sono tutti figli suoi mi dirà, con le sua voce bassa e calma.
“La mia famiglia è molto importante. Mi supporta, mi dà forza, viviamo amando la boxe” – mi dice Francesco - “A partire da mio padre che è Maestro sul ring e nella vita, che ci ha trasmesso la sua passione, ma anche mia madre ormai si è legata completamente alla boxe”. La salita a Campione di Italia nella sua categoria è ancora lunga, ma Francesco è fiducioso di chi lo segue e dei suoi mezzi: “Ce la metterò tutta, insieme al mio Maestro e a Paciucci. Sto in palestra tutto il giorno, mi alleno, mi dedico agli amatoriali e a far crescere l’agonismo, insomma do una mano a mio padre. Diventare un pugile è stato il mio sogno sin da bambino, nonostante mio padre cercasse di indirizzarci verso altri sport. Aspettavo solo di crescere per iniziare, mentre guardavamo gli incontri di Marvin Hagler, Sugar Leonard. Poi crescendo è cambiata anche la boxe, si è evoluta, come tutti gli sport. Mayweather è un idolo per tanti di noi, ma il pugilato che sento più vicino a me è quello di Hagler. Colpi alla lunga e media distanza, decisi”.
Mi sembra quasi impossibile immaginare che la parola ‘sconforto’ appartenga al suo vocabolario e invece Francesco ha l’umiltà di dire che c’è stato un momento in cui ha messo in dubbio di entrare nella categoria professionisti. “Categoria dilettanti, 60 match, è un ottimo numero, ma se sali sul ring e non ci sei con la testa, rischi di perderti e non sai nemmeno spiegarti il perché. In quel momento la mia famiglia non solo mi è stata vicina, ma ha saputo mettermi davanti alla verità che senza la boxe sarei stato peggio”. E torna a parlare di famiglia, una famiglia normale, una famiglia felice, di avere la sua vita fatta di pugilato nella palestra Imperium Boxe, con tutto quello che comporta. Sacrifici, lavoro e la frase che campeggia anche nel video di presentazione “Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto?”
“La boxe non è per tutti, soprattutto quella agonistica. Ieri la cosa che mi è piaciuta di più dell’incontro era la mia lucidità. Ho compreso subito gli sbagli, le cose che dovevo inserire, quelle che andavano bene e quelle che dovevo migliorare. Sono ancora un po’ rigido e su questo mi differenzio da mio fratello che invece è un estroso e per il quale nutro profonda stima perché è davvero talento”.
Scopro che a differenza di molti pugili che studiano l’avversario guardando e riguardando i loro match, a Francesco piace l’effetto sorpresa, scoprirli sul ring, anche perché ha cieca fiducia nel suo Procuratore. “E’ vero che mi sento più portato verso una boxe attendista e quando incontro un picchiatore mi invita a nozze. Se ho di fronte un pugile poco regolare mi appello alla mia freddezza, alla mia lucidità, alla velocità delle mie gambe, a non dargli spazio, perché anche se il suo valore è minore può sempre rovinarti il match. Quello che è importante è la concentrazione prima di ogni incontro. Mi limito a riscaldarmi, due colpi col Maestro, qualche figura, niente cuffiette o musica a palla. Poi ascolto l’angolo, sempre”.
Il padre Salvatore è soddisfatto “Era un match che poteva finire prima, ma va bene così, sono i primi match e deve ancora fare tanta esperienza, ha cominciato adesso. Ma sono fiero di lui. In palestra è un soldato, molto serio, con forte senso della disciplina, e le rinunce, a 21 anni, per una passione come la boxe, sono tante. A me spetta il compito di tenere ferme le briglie, altrimenti perdi il cavallo. Il professionismo è una cosa seria ma ti devi comunque divertire. Tra i miei due figli, di cui sono orgoglioso, Francesco è quello che mi assomiglia di più caratterialmente. Spero che Paciucci continui a credere in lui perché credo che ci toglieremo belle soddisfazioni”. E aggiunge “Io ho grande stima per chiunque salga sul ring. Servono cuore, ma soprattutto tanto allenamento, cosa che io non ho fatto perché consideravo la palestra un gioco. E’ necessario invece il sacrificio, perché è uno sport che ti priva di tante cose, dall’alimentazione, agli amici, agli svaghi. Quello che sento per i miei figli lo sento per tutti gli altri miei ragazzi. Se prendono un cazzotto è come se lo prendessi io. L’ansia c’è sempre. Smanio, certo, ma come Maestro cerco di infondergli sicurezza. La palestra mi ripaga di molti sacrifici, soprattutto quando vedi un ragazzo, magari che si è perso, rimettersi sulla sua strada. E’ uno sport bellissimo, che educa, che aiuta. Se tornassi indietro rifarei tutto quanto. Arriverà per Francesco quel guizzo che gli farà scattare la molla di credere che può dare il 100%, mentre ora è solo a metà della sua potenzialità”.
Se non ci sono bravi Maestri non ci sono bravi pugili,
come diceva Lucinio Sconfietti. E se in più c’è un famiglia felice …