mercoledì 26 aprile 2017

Francesco, pesi welter. Nuovo capitolo di talento nella storia dei Sarchioto

(per Il Quotidiano del Litorale)


“Tutte le famiglie felici si somigliano” è l’incipit di uno dei capolavori della letteratura russa e della storia della famiglia Sarchioto. Al Palevespucci  c’erano quasi tutti, c’era l’Imperium Boxe, sede ufficiale Latina Scalo. Fondata da Salvatore, ex mediomassimo dal pugno pesante negli anni ’80, è tra le più attive del Lazio, dove ha trasmesso la sua passione per questa disciplina ai due figli, Francesco e Giovanni, che hanno raccolto l’eredità con risultati più che lusinghieri. Nonostante il grande tifo sugli spalti per Azzarà, la famiglia Sarchioto faceva un rumore assordante con la sua unità, la sua serenità, una grande famiglia, semplice, felice come in un giorno di festa. Nella boxe è merce abbastanza rara, e forse non solo nella boxe, e dunque poco importa che tutte le famiglie felici si somiglino.

Francesco Sarchioto, pesi welter, ha vinto contro Jorge Dos Santos, cimentandosi sulle 6 riprese, sabato 22 Aprile, nei 2 match pro organizzati dalla Champion Club e Paciucci Boxing Team. L’esordio di Francesco è avvenuto quest’anno, e con suo fratello Giovanni, ora nell’esercito, ha dato grandi speranze di rispolverare gli splendori della boxe di Anzio-Lavinio-Nettuno, che ha scritto pagine importanti nella storia di quest’area del Litorale laziale. Una famiglia intera che si dedica con abnegazione al pugilato. Francesco, residente con la sua famiglia ad Anzio, ha solo 21 anni. Lo osservo mentre il suo Procuratore, il Maestro Marcello Paciucci, pratica sulle sue mani l’arte del bendaggio, che solo i procuratori possono fare. E’ tranquillo, concentrato, determinato, sicuro. Attorno a lui i dilettanti della squadra si scaldano. Salvatore c’è per tutti loro, sono tutti figli suoi mi dirà, con le sua voce bassa e calma.
“La mia famiglia è molto importante. Mi supporta, mi dà forza, viviamo amando la boxe” – mi dice Francesco -  “A partire da mio padre che è Maestro sul ring e nella vita, che ci ha trasmesso la sua passione, ma anche mia madre ormai si è legata completamente alla boxe”.  La salita a Campione di Italia nella sua categoria è ancora lunga, ma Francesco è fiducioso di chi lo segue e dei suoi mezzi: “Ce la metterò tutta, insieme al mio Maestro e a Paciucci.  Sto in palestra tutto il giorno, mi alleno, mi dedico agli amatoriali e a far crescere l’agonismo, insomma do una mano a mio padre. Diventare un pugile è stato il mio sogno sin da bambino, nonostante mio padre cercasse di indirizzarci verso altri sport. Aspettavo solo di crescere per iniziare, mentre guardavamo gli incontri di Marvin Hagler, Sugar Leonard. Poi crescendo è cambiata anche la boxe, si è evoluta, come tutti gli sport. Mayweather è un idolo per tanti di noi, ma il pugilato che sento più vicino a me è quello di Hagler. Colpi alla lunga e media distanza, decisi”.
Mi sembra quasi impossibile immaginare che la parola ‘sconforto’ appartenga al suo vocabolario e invece Francesco ha l’umiltà di dire che c’è stato un momento in cui ha messo in dubbio di entrare nella categoria professionisti. “Categoria dilettanti, 60 match, è un ottimo numero, ma se sali sul ring e non ci sei con la testa, rischi di perderti e non sai nemmeno spiegarti il perché. In quel momento la mia famiglia non solo mi è stata vicina, ma ha saputo mettermi davanti alla verità che senza la boxe sarei stato peggio”. E torna a parlare di famiglia, una famiglia normale, una famiglia felice, di avere la sua vita fatta di pugilato nella palestra Imperium Boxe, con tutto quello che comporta. Sacrifici, lavoro e la frase che campeggia anche nel video di presentazione “Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto?”
“La boxe non è per tutti, soprattutto quella agonistica. Ieri la cosa che mi è piaciuta di più dell’incontro era la mia lucidità. Ho compreso subito gli sbagli, le cose che dovevo inserire, quelle che andavano bene e quelle che dovevo migliorare. Sono ancora un po’ rigido e su questo mi differenzio da mio fratello che invece è un estroso e per il quale nutro profonda stima perché è davvero talento”.
Scopro che a differenza di molti pugili che studiano l’avversario guardando e riguardando i loro match, a Francesco piace l’effetto sorpresa, scoprirli sul ring, anche perché ha cieca fiducia nel suo Procuratore. “E’ vero che mi sento più portato verso una boxe attendista e quando incontro un picchiatore mi invita a nozze. Se ho di fronte un pugile poco regolare mi appello alla mia freddezza, alla mia lucidità, alla velocità delle mie gambe, a non dargli spazio, perché anche se il suo valore è minore può sempre rovinarti il match. Quello che è importante è la concentrazione prima di ogni incontro. Mi limito a riscaldarmi, due colpi col Maestro, qualche figura, niente cuffiette o musica a palla. Poi ascolto l’angolo, sempre”.
Il padre Salvatore è soddisfatto “Era un match che poteva finire prima, ma va bene così, sono i primi match e deve ancora fare tanta esperienza, ha cominciato adesso. Ma sono fiero di lui. In palestra è un soldato, molto serio, con forte senso della disciplina, e le rinunce, a 21 anni, per una passione come la boxe, sono tante. A me spetta il compito di tenere ferme le briglie, altrimenti perdi il cavallo. Il professionismo è una cosa seria ma ti devi comunque divertire. Tra i miei due figli, di cui sono orgoglioso, Francesco è quello che mi assomiglia di più caratterialmente. Spero che Paciucci continui a credere in lui perché credo che ci toglieremo belle soddisfazioni”. E aggiunge “Io ho grande stima per chiunque salga sul ring. Servono cuore, ma soprattutto tanto allenamento, cosa che io non ho fatto perché consideravo la palestra un gioco. E’ necessario invece il sacrificio, perché è uno sport che ti priva di tante cose, dall’alimentazione, agli amici, agli svaghi. Quello che sento per i miei figli lo sento per tutti gli altri miei ragazzi. Se prendono un cazzotto è come se lo prendessi io. L’ansia c’è sempre. Smanio, certo, ma come Maestro cerco di infondergli sicurezza. La palestra mi ripaga di molti sacrifici, soprattutto quando vedi un ragazzo, magari che si è perso, rimettersi sulla sua strada. E’ uno sport bellissimo, che educa, che aiuta. Se tornassi indietro rifarei tutto quanto. Arriverà per Francesco quel guizzo che gli farà scattare la molla di credere che può dare il 100%, mentre ora è solo a metà della sua potenzialità”.
Se non ci sono bravi Maestri non ci sono bravi pugili, come diceva Lucinio Sconfietti. E se in più c’è un famiglia felice …

martedì 25 aprile 2017

OSTIA, POLO NATATORIO – LE ‘INFILTRAZIONI’ DI BARELLI E IL SILENZIO DI VULPIANI

La terna Prefettizia, a capo del Commissariamento del Municipio X per infiltrazioni mafiose, in questi due anni ha concentrato tutta la sua attenzione sulle concessioni balneari. Nel frattempo l’entroterra è allo sbando eppure di concessioni ce ne sono diverse, a partire dal PVQ della Madonnetta fino ad arrivare al Polo Natatorio di Ostia.
I Mondiali di Nuoto Roma ’09, non solo sono stati l’ennesimo scandalo dell’italietta corrotta, ma hanno creato all’interno del Municipio X un problema competitivo sul mercato con la nascita di nuove piscine private in un territorio che era considerato dal CONI “già a bagno” per l’alto numero di piscine presenti, con gravi ripercussioni  anche sul PVQ della Madonnetta.
La concessione alla FIN (Federazione Italiana Nuoto) del Polo Natatorio è scaduta nel 2016 e non giungono notizie né dal Prefetto Domenico Vulpiani né dal Comune di Roma, cosa davvero incredibile. Su questo argomento ritorneremo con un’inchiesta nelle prossime settimane. Quello che ci preme invece sottolineare è un altro aspetto: la cortina fumogena attorno a questo importante impianto pubblico per quanto concerne il “sabotaggio e il disturbo da parte della malavita locale per allungare le mani sull’impianto ancora non terminato dopo un anno dalla fine dei Mondiali di Nuoto Roma ’09” che fa pendant con il “sabotaggio” del bando per il reperimento dei marinai di salvataggio sulle spiagge libere di cui si è lamentato il Prefetto Vulpiani. Su quest’ultima vicenda qualcuno non l’ha presa proprio bene e ha sporto denuncia in Procura perché stanco di sentir parlare di “congetture, sospetti e infamie”. Dubitiamo che i cittadini sapranno come andrà a finire questa storia (tutto su link), perché in questa Italietta i cittadini non hanno saputo nemmeno come sia finita un’analoga storia relativa proprio al Polo Natatorio di Ostia, sorto per i Mondiali di Nuoto Roma ’09. Il Sen. Paolo Barelli, allora Presidente della FIN, nei documenti depositati presso il Tribunale di Ostia il 10 Dicembre 2009 dichiarava di essere stato informato dall’Ing. Claudio Rinaldi (allora Commissario Delegato per i Mondiali) che il non affidamento alla FIN del Polo Natatorio di Ostia “era da imputarsi a pressioni che s’intendevano esercitare sulla FIN al fine di farla recedere dalla concessione ottenuta a favore di ‘gruppi di potere’ allo stato, non identificati”. A seguito di questa gravissima affermazione di Rinaldi, Barelli minacciava di presentare un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica “ai fini dell’accertamento della sussistenza di penali responsabilità, anche a carico di tutti i soggetti che abbiano concorso o agevolato, anche con comportamenti omissivi, la eventuale consumazione di reati”. Passano pochi giorni e Barelli, invece di presentarsi in Procura, chiede spazio sul Corriere della Sera per smentire se stesso: “Non c’è stata alcuna intimidazione, è stato tutto tranquillo. E non faremo appalti: gestiremo noi l’impianto”. Dunque niente azioni di “sabotaggio o disturbo da parte della malavita locale per allungare le mani sull’impianto ancora non terminato dopo un anno dalla fine dei Mondiali di Nuoto Roma ’09”. Nel frattempo la camorra tentava di entrare negli appalti dei Mondiali di Nuoto, in corso al Foro Italico di Roma, secondo quanto asseriscono “quattro pagine di un rapporto dei carabinieri del Ros di Potenza contenute in un’ indagine del pm John Woodcock sulle infiltrazioni camorristiche in Basilicata” (link) .
Insomma, in un Municipio Commissariato per Mafia si continua non solo a ‘pasticciare’ sui bandi delle spiagge, ma addirittura si fa finta di niente sulla fine della concessione alla FIN del Polo Natatorio di Ostia, su cui Barelli aveva aveva prima accusato in Tribunale, e poi smentito su Corsera, pressioni di ‘gruppi di potere’ per la concessione dell’impianto sportivo. In questi 4 mesi chi lo sta gestendo? Con che titolo concessorio? Con che bando? Tutto regolare?Ma la mafia e i “gruppi di potere” ci sono o no ad Ostia?


Paula de Jesus per LabUr – Laboratorio di Urbanistica

sabato 15 aprile 2017

Mariti in Affitto


(per Il Quotidiano del Litorale)

In Italia i padri separati, con il loro dramma silenzioso, sono 4,8 milioni sulla soglia della povertà. Si tratta di ex mariti che non vogliono rinunciare ad essere padri e lottano ogni giorno per non finire nel baratro della solitudine, dell’abbandono, ma soprattutto della negazione dei loro diritti genitoriali. Il 13% delle persone separate/divorziate fanno la fila alla Caritas e il problema dell’emergenza abitativa, soprattutto nelle grandi città, colpisce solo gli uomini. Storie di un’umanità silente. Storie di guerra tra sessi che diventa guerra tra poveri. Storie di equilibristi (per citare un film di Ivano di Matteo con Valerio Mastrandrea uscito nel 2012), perché “la verità è che il divorzio è per ricchi, quelli poveri non se lo possono permettere”.   Alla difficoltà economica che attraversa il nostro Paese, si aggiunge quella della dissoluzione familiare, dei propri sogni, di valori mai messi in discussione, e al dramma degli affetti subentra quasi subito la difficoltà a far fronte alle spese familiari. Storie di esistenze ai limiti dell’accettabilità, spesso destinate a degenerare, dove non c’è tempo per elaborare le conseguenze emotive della fine di un rapporto. Storie dove la dignità è misurata ed in stretta relazione con la parola necessità. Storie di vergogne inconfessabili, di fallimenti vissuti con sensi di colpa, di reticenze a mostrare il proprio dolore. Storie di suicidi. Storie fatte di frasi di circostanza.

Storie come quella di Luca (nome di fantasia), di Acilia, che per sopravvivere e poter mantenere le sue due figlie, di 7 e 9 anni, ha aperto su facebook la pagina “un marito in affitto”, scrivendo di se “Sono un padre italiano di Roma separato, rimasto senza lavoro, ma con grande manualità e voglia di lavorare!  Quindi ho pensato di offrire la mia esperienza per piccoli e grandi lavori di casa! Caldaie, condizionatori , problemi sull'impianto elettrico ed idraulico piccoli problemi di muratura imbiancatura e tutto ciò che potrebbe risolvere un marito a casa e sulla vostra automobile, perché oltre a tutto ciò sono anche un meccanico! Con una piccola spesa potreste risolvere piccole e grandi problemi di casa!”. Luca, 51 anni e 10 anni di matrimonio alle spalle, vive per le sue figlie. Luca vive grazie alla rabbia. Non si nasconde e mi racconta la sua vita seduti ad un tavolino di un bar di Vitinia. Tiene in mano una sigaretta che riesce a non accendere per tutto il tempo dell’intervista, nonostante per ben due volte si commuova e le lacrime gli solchino il viso.

(G) Ho sempre fatto il libero professionista e lavorato dall’età di 14 anni come meccanico. Negli anni ’90, come molti, ho attraversato un periodo d’oro. Sono riuscito a mettere da parte dei soldi. I miei genitori mi avevano lasciato lo scheletro di una casa molto grande, complicata da gestire. Un giorno al Faber Beach ho conosciuto la bambina di mia moglie e poi la madre. Mi si avvicinò perché voleva giocare a racchettoni. Allora la mia ex moglie conviveva con il padre della bambina, che lei descriveva come un violento. Io avevo 39 anni. Mi ero goduto la vita e avevo voglia di costruirmi una famiglia sui dei valori solidi, lontani dall’apparire. Mi ero sistemato parte della casa, con cura e amore, la casa che mio padre aveva tirato su con tanti sacrifici e che non ha mai vista finita. Mia moglie, di origini russe, aveva innato un forte senso della cura della dimora familiare, del marito, della famiglia, ma presto tutto questo è diventato una forma di controllo totale e patologico nella gestione delle cose e delle persone.  Non ricordo una sola volta in cui ci siamo seduti insieme sul divano, abbracciati, magari a guardare un film o a prendersi a cuscinate, ridere insieme. Lei aveva sempre qualcosa da fare. Poi semplicemente calava il giorno portandosi via le tenerezze e le complicità mancate. In casa nostra tutto era asettico. Io non le facevo mancare nulla, né a lei né alle bambine.  Qualunque sue desiderio veniva esaudito. Ho ridimensionato l’officina per poterle aprire una lavanderia, le ho comprato una macchina di lusso, mentre io giravo con lo scooter.  Finché un giorno mi sono reso conto che non ero innamorato di lei, ma che mi ero innamorato di una certa idea di famiglia e ho cominciato a vederla non più come una moglie, ma come una sorella. Nonostante questo sono rimasto con lei per le figlie, perché io sono un cristiano, un cattolico. Poi ho scoperto lo squallore dei suoi tradimenti e le ho proposto di dividere la casa, la casa di mio padre. Non ha accettato e così è iniziata una guerra infinita, fatta di denunce e di provocazioni. Allo squallore del tradimenti si è aggiunto il calvario delle menzogne, di costanti indagini sul mio conto, dell’onta di crimini mai commessi sbandierati come panni stesi ad asciugare sul balcone, di terra bruciata attorno a me, di violenze psicologiche, di carte bollate, di ripicche, di maltrattamenti. Circondati da assistenti sociali, da psichiatri, da psicologi, da CTU, da ATP, da giudici, da avvocati … insomma, il business che gira attorno alle separazioni. Tutto questo di fronte alle mie figlie, perché ho voluto bene alla sua prima figlia come se fosse stata la mia. I figli diventano un arma di distruzione dell’altro. E il conto da pagare del proprio dolore, il dolore di una vita fatta di violenza, finisce per pagarlo chi non è stato la causa. La vittima diventa aguzzino e la quotidianità si popola solo dello squallore della perdita di umanità.
Luca si commuove.  
(L) Non so come ho fatto a sopportare tutto questo. Le ho proposto di dividere casa, per rimanere vicino alle mie figlie, ma non ha accettato. Il suo unico scopo era di togliermi tutto, di rovinarmi, di distruggere la mia immagine di fronte alle bambine. Ho perso la lavanderia, poi l’officina e infine la casa su cui grava un mutuo. Poi una falsa denuncia mi ha costretto all’allontanamento da casa e oggi vivo in affitto in un bilocale dove ho comunque ricreato uno spazio per le mie due bambine con i loro pupazzi, le loro cose. Sono diventato semplicemente un disoccupato. Per questo mi sono inventato “un marito in affitto”, un’idea  tutta da costruire, un grido di dolore, perché ho bisogno di un secondo lavoro, l’officina in cui mi appoggio non mi basta per sopravvivere. Ho molto esperienza, ma l’esperienza costa e nessuno la vuole pagare. Sul mercato del lavoro si preferisce prendere ragazzetti inesperti  e pagarli poco. A 51 anni sono disponibile persino a pulire i cessi. Alla mia età trovare lavoro non è facile.  

(P) Possiamo dire che è l’altra faccia di un fenomeno di cui molto si parla negli ultimi anni, quello delle violenze domestiche contro le donne?
(L) Sì. Nonostante esista la prima legge in Italia che cerca di tutelare i padri separati, la Giurisprudenza continua a privilegiare le madri quali punto di riferimento educativo, mentre al padre gli viene concesso solo il ruolo di sostegno economico e più della metà di loro ha la licenza elementare e questo li pone a rischio povertà. Ricordo che la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver garantito i diritti dei padri separati. Uno Stato, con la esse maiuscola, dovrebbe scoraggiare la povertà, non favorirla e avere una visione più bilanciata dei diritti. La Giustizia così finisce spesso per essere ingiusta. E’ per questo che sto portando avanti la mia battaglia, una battaglia di verità. Sono riuscito ad ottenere l’affidamento congiunto. E’ stata una prima vittoria.

(P) Lei è un papà o un compagno di gioco per le sue figlie
(L) Questa domanda mi piace molto: se c’è una cosa che adoro fare con le mie figlie è essere il loro compagno di gioco. Certo, quando ci vuole, le strillo anche. Sorride finalmente.

(P) La dignità secondo lei è in relazione con la necessità?
(L) Sì, se io avessi lasciato che le cose andassero come lei voleva, ma ho lottato perché la mia ex moglie non me la togliesse. La dignità non si tocca. Fa parte dei miei valori.

(P) I valori, di cui parlava all’inizio, quelli di una famiglia, che fino hanno fatto?
(L)Sono rimasti.  Non le ho permesso di devastarmi. Ho cercato di essere resiliente. Non posso permettere che un mio errore, quello di non essere stato razionale e quindi capace di discernere l’amore dal sogno di famiglia, compromettesse in modo definitivo la mia vita. Voglio continuare a credere in quei valori.

(P) Che cosa si rimprovera?
(L) Io non mi sento un fallito. Sento solo il dolore di non essere riuscito a dare l’amore di due genitori alle mie figlie. Io mi sento adesso un padre a 360°. Non lo sono mai stato in casa. Incredibile. L’ho capito solo dopo.  L’ipercontrollo della mia ex moglie su tutto mi aveva tolto anche questo, anche il ruolo genitoriale. Il mio unico ruolo era pagare i conti. Non ho mai nemmeno cambiato il pannolino alle mie figlie, perché secondo lei non ero buono a fare nulla, perché nessuno era bravo a fare le cose come lei.

(P) Lei ha sensi di colpa?
(L)No, perché non credo di essermi mai comportato male.

(P) Il senso della vergogna per tutto il calvario che ha passato, che lei ha definito “l’onta di crimini mai commessi sbandierati come panni stesi ad asciugare sul balcone”?
(L) Vergogna no, perché so che non è così, perché la verità prima o poi viene a galla e le persone che prima mi guardavano con sospetto e mi allontanavano hanno poi capito come stavano realmente le cose.

(P) Il sentimento che la domina?
(L) La rabbia, ma il tempo è galantuomo. La rabbia mi ha consentito di alzarmi ogni giorno. Certo, l’ho dovuta gestire, perché non mi consumasse, perché non sfociasse in agiti violenti. Avrei fatto il suo gioco e io non sono quel tipo di uomo.

(P) La vita ha mai smesso di appartenerle?
(L) No. Ho i miei amici, faccio il mio percorso psicologico su consiglio del mio medico di base che mi sta dando un grosso supporto. Non sono un supereroe e devo cercare di non farmi crollare il mondo addosso. Mi faccio aiutare per cercare di avere un rapporto ottimale con le mie figlie, mi documento, compro libri per comprenderle in questa età preadolescenziale così delicata. Ho i miei limiti e ne sono cosciente e voglio imparare a superarli.

(P) Lei che ha attraversato il deserto della quotidianità popolata “solo dello squallore della perdita di umanità”, il senso di umanità lo ha perso?
(L) No.

(P) Riesce ancora ad amare, a credere negli altri, a scommettere in un rapporto?
Luca si commuove una seconda volta
(L)Sì.

(P)Torniamo a parlare di dignità. Per lei è un diritto o un lusso oggi?
(L) E’ un diritto averla, ma un dovere preservarla, essere dignitosi.

(P) Una delle prerogative più importanti per essere “un marito in affitto” è l’affidabilità. Lei si sente una persona affidabile?
(L) Assolutamente sì.  Lo sono sempre stato.

(P) Coltiva ancora un sogno?
(L) Che la mia ex moglie si rendesse conto che così si va solo verso il baratro, dove ci portiamo anche vittime innocenti. Vorrei tornare in possesso anche solo di una parte della casa di mio padre perché andandomene  ho perso una parte di me e destabilizzato le bambine. Spero che le mie figlie siano felici. Il loro amore è la mia forza. Spero che la salute mi assista perché purtroppo ho problemi alla schiena che non posso curare perché non me lo posso semplicemente permettere.
 
La storia di Luca è una storia come tante.
Storie vissute davanti allo specchio del film l’ “Hotel paura” dove gli ex mariti a voce alta ricordano a se stessi “non sono alcolizzato, non sono drogato, non son matto, sono solo disoccupato”, come diceva Sergio Castellitto.
 

Buona Pasqua e buona fortuna.

sabato 8 aprile 2017

Boxe, un'altra vittoria per Kevin War Machine Di Napoli. "Porterò il titolo ad Ostia"

(per Il Quotidiano del Litorale)

“Allarme rosso, da Ostia Italia, Kevin War Machine Di Napoli”, cavallo matto.

Kevin esordisce così: “Io conosco tanti di pugili ad alti livelli che so’ forti proprio perché sono stati cavalli matti per strada. Un Tayson se avesse fatto una vita normale non sarebbe mai stato un Tyson. Io la penso così”. In sottofondo “Sogni d’oro” dei Rasty Kilo.
  “Nati nel degrado, schiavi del denaro, la povertà ci ha spronato e la strada sporcato”.
(P) Il tuo video di presentazione si intitola  Kevin Di Napoli: Dopo svariate pazzie di nuovo sul ring". A quali  “pazzie” ti riferisci?
(K) Violenza sul ring e sotto il ring, che mi hanno costretto a lasciare il ring per infortuni alle mani sotto il ring, proprio all’esordio come professionista. Era novembre 2016. Poi ho deciso di lasciarmi tutto alle spalle, di pensare solo al pugilato anche se adesso sto pagando le conseguenze. Ma ce la farò.
 
 “o si nasce abili o si muore negli stessi stabili”
(P) Chi ti sta aiutando?
(K) Io da solo, non ho bisogno di aiuti
(P)Hai risposto alla Tyson
ride …

(K) Dopo tutta la brutta nomina che mi sono fatto sotto il ring per Roma volevo anche che si parlasse bene di me a livello sportivo, e non solo per gli errori che ho fatto fuori dal ring, che mi sono lasciato tutto alle spalle e che se uno vuole può cambiare. Anche se non è facile, dico la verità, però se c’hai carattere ce la puoi fare.

  “guardie e ladri, che non è detto che i buoni siano più bravi, qui contavi solo se contavi”
(P) Tuo padre, l’ex pugile Gianni Di Napoli, ha scritto: “senza niente togliere agli altri due bellissimi figli che amo tanto, le circostanze mi costringono a parlare sempre di Kevin. Ha seguito le mie orme su questo sport, anche se non sono mai stato felice, ma però il ragazzo merita”. Tralasciando tuo padre, forse come per tutti i figli d’arte, ingombrante, pugile molto spettacolare anche se condizionato dal temperamento, c’è un campione a cui senti di assomigliare di più o a cui ti ispiri?
(K) Io non mi ispiro a nessuno, non ho idoli.

“da piccolo guardi e impari guardie e ladri che non è detto che i buoni siano più bravi”
(P) Delle tue cadute ne parli con naturalezza. Quali sono state?
(K) Ho fatto tutto io. Non mi sono fatto mancare niente. Non devo dare la colpa o dire grazie a nessuno. Gli errori servono a fare esperienza e quando un giorno avrò un figlio potrò insegnargli a non commetterli.

“risate e pianti, urla e matti, sfratti, quei ratti so così giganti che mangiano i gatti”
(P) Nel video fai riferimento a Tyson. Tyson ha dichiarato “da dove vengo io i ricordi non si incorniciano, si cerca di dimenticarli”. È vero che hai solo 21 anni, ma anche tu cerchi di dimenticare i cattivi ricordi e guardare solo al futuro?
(K) E’ un po’ difficile dimenticare, soprattutto se sulla strada hai bruciato le tappe in tutto. Tutto era motivo di discussione per me, con i miei amici. Quando sei in quella vita, sei dentro a quella vita. E’ come la droga, c’è poco da fare. Ogni giorno mi dovevo alzare e costruirmi, per levarmi di dosso l’ombra di dove sono nato e cresciuto ma soprattutto quella di mio padre. Mio padre è mio padre e lo so solo io quello che mio padre è. Il pugilato non era per me ancora una disciplina.

  “generazioni future diventare passate, fottute come le passate, giù con le teste abbassate
qua gli istanti so interminabili”
(P) Tua  madre che ruolo ha avuto accanto ad un padre come il tuo?
(K) Mi ha lasciato all’età di 9 anni.

“vedevi i grandi in giro armati, piatti di calamari”
(P) Ti ricordi quando hai menato la prima volta? Le hai prese?
(K) Sì, me lo ricordo. Avevo 14 anni, fuori da una discoteca. Non le ho mai prese. Mai nella vita.
(P) Lo rifaresti?
(K) Sì, lo rifarei perché quello che sono oggi è per tutte le cavolate che ho fatto. La violenza io l’affronto da uomo. Quando hai per Roma una certa immagine, non si permette nessuno di mancarti di rispetto. Mai uno contro uno, non mi avrebbe dato soddisfazione. Mai successo. Certo, è il rispetto della paura.

“debiti salati non saldati, su su in aria saltati”
(P) Se uno ti definisce un coatto te la prendi?
(K) No. Mi hanno detto di tutto. Non mi fa piacere certo.
(P) Cosa ti piacerebbe che dicessero di te. Quali parole vorresti sentire? Quelle che ancora non dicono.
Le parole rimangono appese nell’aria prima di arrivare …
(K) Cambiato, un ragazzo cambiato, un uomo nuovo.

“o scappi o rimani, con la speranza che un domani a mangiare merda t'abbituavi da ste parti o sbrani o vieni sbranato”.
(P) Quali opportunità in più hai avuto rispetto a tua padre?
(K) Ho avuto mio padre, lui non ha avuto un padre. Mi ha seguito in tutti i modi, mostrandomi  quello che era giusto e quello che era sbagliato. La mia opportunità è stata mio padre.

“qui contavi solo se contavi”
(P) Hai mai pensato, anche solo per un attimo, magari in un giorno in cui ti sentivi particolarmente giù, che non eri tagliato per la boxe?
(K) Mai. So fare solo cazzotti. Non sono buono a fare altro, a parte le donne … una malattia! Ride.

“da stracci usati a completi Armani, nei posti di blocco ore bloccati, placcati”
(P) Riesci ad essere sereno adesso che hai deciso di cambiare?
(K) No, la serenità non è uno stato che arriva così. Se hai una nomina come la mia la serenità è un lusso, una conquista. Devi dimostrare ogni giorno che sei cambiato. Non puoi permetterti errori.
(P) Potresti vivere senza pensare al giudizio degli altri?
(K) No, d’altronde salgo sul ring e sono sottoposto al giudizio dei giudici, così è per me anche fuori dal ring.

“Vedo il quartiere invecchiare col passare delle lune, alte sfere arricchirsi sulle creature”
(P) Eppure hai la forza di rivendicare con orgoglio che vieni da Nuova Ostia, le tue radici, i tuoi sbagli … cosa vorresti fare per il tuo quartiere?
(K) Uno dei miei obiettivi è per Ostia. Quando sono andato al Campionato del Mondo dei dilettanti juniores con la squadra italiana è stata per me una soddisfazione immensa che dicessero “da Ostia”. Ostia, e in particolare Nuova Ostia, non è solo cose negative. Io voglio che siano orgogliosi di me.

” da piccolo guardi e impari, guardie e ladri”
(P) Nonostante tu abbia solo 21 anni, pensi mai a cosa farai quando non potrai più salire sul ring?
(K) Vorrei aprire una palestra e dare una speranza a tutti questi ragazzetti che crescono qui. Strapparli via dalla strada e portali nella mia palestra, l’unica che può darti una salvezza, come la musica. Perché è anche la mia unica salvezza. Forse avrei potuto solo fare il criminale. Non so fare niente, per la scuola non ero portato, non ero portato per il lavoro. Solo per la boxe.
(P) Che tipo di pugile sei?
(K) Direi uno stilista/picchiatore. I stilisti sono veloci, fanno una grande lavoro sulle gambe, io in aggiunta mi sento uno sbruffone che sa far male, soprattutto ora che sono passato a professionista. Un tecnico puro che fa male è difficile trovarlo.
(P) Nel ranking italiano sei 14/21 con 3 incontri, due vinti, uno per ko, e un pareggio.
(K) Del pareggio si sono lamentati tutti, persino il mio avversario, ma era un anno che non combattevo. Come dilettante ho disputato 48 combattimenti con 6 sole sconfitte. A livello professionistico 3 su 9 round perché l’ultimo match è durato 1 minuto e mezzo, vinto per ko. Il mio manager Davide Buccini e il mio allenatore Alessandro stanno cercando di farmi fare una serie di incontri a Maggio, di buon livello, che mi consentano di  poter ambire al titolo italiano.
(P) Quanto ti alleni?
(K) Due volte al giorno. La mattina prestissimo e la sera.


“in un meccanismo di rischio ben pagato, il digiuno da pecora ti rende lupo affamato”
(P) Dimmi qualcosa che non ti ho chiesto e che avresti invece voluto che ti chiedessi.
(K) Mi hai chiesto tutto. Ecco, sì una cosa: il titolo ad Ostia arriverà … lo giuro.