venerdì 23 aprile 2021

La saga della “Fontana dello Zodiaco” ad Ostia meglio di Twin Peaks

La vera storia della Fontana dello Zodico ad Ostia.

Doveva essere riaccesa nel giorno del Natale di Roma e invece la Sindaca ha anticipato all’ultimo per evitare contestazioni. Un momento molto atteso da parte degli ostiensi, tagliati fuori insieme ai giornalisti e ai fotografi, trasformato in una saga degna di Twin Peaks.
Nelle puntate precedenti:
Il restauro della “Fontana dello Zodiaco” compare la prima volta nelle intercettazioni tra Luca Parnasi e il consigliere Paolo Ferrara nella vicenda “Stadio della Roma”. Viene restaurata grazie ad una interpretazione creativa del decentramento amministrativo dal Municipio X, nonostante non ne avesse la competenza. La fontana si trasforma in pertinenza stradale e così i soldi vengono presi dai fondi destinati alla manutenzione delle strade, in questi anni divenute vere e proprie piscine per i pneumatici e puntellate da cartelli con limiti a 30Km/h. I costi del restauro levitano di ben 4 volte, così come i tempi di consegna e di riapertura, e per giustificarsi, come perfette casalinghe di Voghera, si inventano che si tratta di “opera d’arte”, addirittura un “tesoro architettonico della Capitale”, un getto continuo di falsi che raggiungono l’altezza imperiale di Pier Luigi Nervi con lo scopo di enfatizzare il restauro, una vera e propria photoshoppata in perfetto stile grillino di Paolo Ferrara. Si tratta di un’opera pubblica, per quanto concerne la terrazza, dove è stata posizionata successivamente una vasca modesta con la funzione di serbatoio di riserva per l’impianto antincendio.
Il plot si fa sempre più intrigante. Il 20 aprile si arrabbiano tutti, persino i fotografi professionisti storici di Ostia, esautorati dall’Ufficio Stampa della Sindaca che riproduce in mondovisione scatti fotografici con l’orizzonte della Capitale d’Italia storto, lo stesso ufficio che ha confuso l’arena di Nimes con il Colosseo. Poi il dilemma: sono stati o no realmente restaurati i mosaici ad intarsio o sono dei falsi? Ferrara assicura che non ci sono mai stati mosaici.
I droni inquadrano gli zampilli di una vasca in cemento. Sullo sfondo solo abbandono e degrado, strutture fatiscenti e occupate da disperati. Una vasca in cemento appoggiata al centro di una terrazza nata esclusivamente per essere non un luogo di aggregazione bensì area scenografica del punto terminale di una strada ad alto scorrimento, ora priva anche di parcheggi. Tant’è che non ci sono panchine o zone d’ombra, ma solo telecamere per ora non funzionanti. Un set mordi e fuggi, il tempo di un selfie dopo aver parcheggiato l’auto in divieto di sosta sotto il sole di agosto. Perché questa è l’idea di città che ha questa amministrazione. Scenografica.
Mai fu più vero lo slogan del Comune “spaccioarte”, cioè roba tossica.
Solidarietà alla buon anima dell’ingegnere comunale Mario Ferrero, padre di quella fontana.
 
Tutti ne parlano, pochissimi ne conoscono la sua storia, la sua funzione e il suo ruolo urbanistico.
Per chi volesse non fare la solita figura de “#oggituttisovrintendenti” auguro buon proseguimento di lettura.
La manutenzione è inclusa nel mezzo milione di euro? No, non è stata prevista. Ora come allora.
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Il piazzale con la Fontana dello Zodiaco costituisce il fondale scenografico di viale Cristoforo Colombo nel punto terminale di Ostia Lido: frutto di una storia lunga e complessa avviata negli anni Cinquanta del secolo scorso. La sua realizzazione rappresentò il punto di arrivo di una lunga pianificazione urbanistica iniziata sin dai primi Anni Trenta quando Benito Mussolini decise di espandere Roma verso il mare ideando la “via Imperiale”: una grande arteria a due carreggiate e doppia corsia, inserita nel Piano Regolatore del 1931.
La via, partendo dalla passeggiata archeologica presso le Terme di Caracalla, doveva giungere fino a Ostia Castel Fusano. Nell’intento del capo del Governo c’era anche quello di collegare il Lido di Ostia al nuovo quartiere dell’Eur, progettato per accogliere l’Esposizione Universale che nel 1942 si sarebbe dovuta svolgere a Roma, ma che, come noto, lo scoppio della Guerra non rese possibile. Il Piano del ’31 – seguito da quello particolareggiato del 1931-1936 – prevedeva che il Lido diventasse un nuovo e moderno quartiere di Roma dotato di tutti i servizi necessari affinché fosse abitato tutto l’anno ed entrasse in tal modo a far parte della Capitale. Pertanto era necessario «prolungare il Lungomare al lido di Roma lungo la Pineta di Castel Fusano fino all’incrocio con la via Imperiale», come si legge in una nota ufficiale del Governatorato, del 15 agosto 1939. Quindi gli assi di Ostia diventarono due: la via Ostiense attorno alla quale si andava sviluppando il centro abitato e la via Imperiale, nuovo limite dello stesso. Così venne abbandonata l’idea del fondatore di Ostia, il senatore Paolo Orlando (1858-1943), che all’inizio del XX secolo aveva avviato l’ambizioso programma di ‘rinnovamento’ del Lido, destinandolo a «ridente borgata marittima» 1 . Nel 1938 fu avviata la costruzione della nuova strada – all’epoca la più grande d’Europa - che però, per lo scoppio del conflitto mondiale, venne completata solo nel 1954, anno in cui fu intitolata a Cristoforo Colombo.
Nei primi anni Cinquanta quindi, in vista dell’apertura del lungo rettilineo, si progettò anche la parte finale di questa via di comunicazione: una grande terrazza che dava sul mare costituita da un enorme piazzale con rotonda centrale di circa 4000 mq di superficie. Sulla terrazza sarebbe dovuta essere posta una “fontana artistica”, scelta tra quelle dismesse depositate nei magazzini della Ripartizione X Antichità e Belle Arti, progetto che non si concretizzò. Infatti, i documenti, rinvenuti presso l’Archivio Storico Capitolino, svelano che il progetto di abbellimento della “rotonda” ha avuto un percorso “accidentato”, con ben due fasi distinte di lavorazione: in un primo periodo la realizzazione del piazzale coi segni zodiacali, poi la costruzione della fontana. Tra il 1953 e il 1955, uno scambio di lettere tra i diversi Uffici comunali coinvolti nel progetto (A.C.E.A., Ripartizioni VI, X e XIII, Assessorato preposto alle Municipalizzazioni e SS.TT.), rivelano intenzioni contrastanti circa la volontà di costruire una fontana in loco. Il 26 marzo 1953 l’A.C.E.A. (Azienda Comunale Elettricità ed Acque) comunicò alla Ripartizione X che, «in occasione dell’inaugurazione del nuovo Acquedotto del Lido di Roma, alimentato con acqua del Peschiera, si doveva provvedere per incarico della Amministrazione Comunale alla costruzione di una fontana artistica al Lido, in Piazzale Cristoforo Colombo». A tal proposito si «chiedeva di conoscere quale fontana artistica depositata nei magazzini comunali» fosse adeguata allo scopo, e si allegava uno schizzo quotato dell’area . La Ripartizione X rispose all’A.C.E.A. il luglio successivo che «nessuna delle fontane artistiche demolite esistenti nei magazzini può ritenersi adatta» e consigliava, inoltre, considerata la posizione del piazzale di fronte al mare, di non eseguire una fontana isolata. Nella nota si riferiva anche che si era a conoscenza che l’Ufficio Tecnico della Ripartizione Lido stava predisponendo il progetto. Nelle successive comunicazioni formali, tra il mese di luglio e agosto del 1953, entrambe le Ripartizioni coinvolte, X e VI, suggerirono l’opportunità di bandire un concorso pubblico: in particolare, la Ripartizione VI, specificava che la competenza della scelta «fra noti artisti romani» doveva essere della ‘Sovrintendenza’ di allora. A tale richiesta, la Ripartizione XIII, rispose: «la Direzione Tecnica non ha ritenuto utile inserire nel progetto esecutivo le fontane decorative ai lati delle scale, in un primo tempo previsto, e ciò per ragioni tecniche ed economiche». Esclusa quindi la costruzione di fontane, si proseguì con la realizzazione del piazzale che avvenne in due tempi distinti. In data 26 giugno 1951 la Giunta Municipale sottopose al Consiglio Comunale la Delibera n. 978 - “Costruzione della terrazza a mare antistante il piazzale Cristoforo Colombo” - sulla base della seguente premessa: «il Litorale di Castel Fusano, al Lido di Ostia, va rapidamente sviluppandosi con il sorgere di moderni e importanti stabilimenti balneari e che, data l’imminente attivazione della quarta stazione ferroviaria litoranea, si rende ormai urgente e necessario provvedere alla sistemazione della zona terminale del grandioso viale Cristoforo Colombo (già via Imperiale), secondo quanto previsto dal piano particolareggiato predisposto per la località». Successivamente alla pubblicazione del bando, dopo due licitazioni andate deserte, a seguito della Delibera n. 1839 del 7 maggio 1952, si rese ancora «necessario provvedere alla definitiva sistemazione del piazzale» affidando l’appalto a un’impresa specializzata nella realizzazione di grandi opere pubbliche. Per questo, con trattativa privata, venne scelta la ditta di Calantoni Arnaldo - molto attiva sul territorio romano negli anni Cinquanta - che, in data 8 gennaio 1953, firmò il Contratto di Servizio con il Comune di Roma per l’affidamento di un “Appalto dei lavori per la costruzione della terrazza a mare antistante il piazzale Cristoforo Colombo al Lido di Ostia, suddiviso in due lotti”. Il primo comprendeva: opere murarie, fognatura, il rilevato, il marciapiede e la gradinata (verbale di consegna datato 26 gennaio 1953). Il secondo lotto, consegnato il 25 luglio 1953, che riguardava il piazzale includeva: «opere in travertino per fare pavimenti e recinzioni, opere in marmo per pannelli e mosaico». L’esecuzione dei lavori, però, non fu consequenziale: una serie di documenti allegati al Verbale di collaudo dell’opera del 7 maggio 1956 (inviato dalla Ripartizione V Divisione Strade e Ponti, Roma Sud, alla Divisione I) rivelano che essi vennero interrotti e che fu concordata anche una variante del prezzo. Pertanto in data 16 marzo 1953 venne effettuata una perizia suppletiva che stabilì, come nuovo termine utile per completare l’opera, il 15 dicembre 1954 con collaudo dopo un anno, in quanto si ravvisò «l’opportunità di arretrare l’accesso della terrazza rispetto al filo stradale e di sollevare la quota di pavimentazione onde ottenere una più completa visuale panoramica». I lavori vennero quindi sospesi il 18 novembre 1953 – come si legge nel verbale di riferimento - per apportare una variante finalizzata a rendere esteticamente più gradevole il luogo ma anche per studiare un sistema migliore di smaltimento delle acque pluviali. Si stabilì dunque, come evidenziato nella Relazione della Ripartizione V (Divisione Lido del 16 marzo 1953) un “Nuovo prezzo per la fornitura di lastre di pietra di Bagnoregio nei lavori della pavimentazione della terrazza a mare antistante il piazzale Cristoforo Colombo al Lido di Roma” per «migliorare l’estetica architettonica della pavimentazione della terrazza a mare apportando la variante delle fasce e bordure in lastre di pietra di Bagnoregio anziché in travertino onde realizzare con il colore bruno di detto materiale un maggiore risalto congiunto ad un notevole effetto decorativo dei motivi della pavimentazione sul campo chiaro del lastrame di travertino lavorato; ad opera incerta». I lavori ripresero il 16 luglio 1954 e ultimati il 15 dicembre dello stesso anno, come confermato dal Direttore dei lavori nella relazione finale del 12 ottobre 195514 . Pur non avendo trovato riscontro sull’autore dei mosaici del piazzale, si ha certezza che la «fornitura e collocazione in opera di pannelli a mosaico o a intarsi in travertino di Bagnoregio con figurazioni dello zodiaco» venne effettuata dell’Impresa Colantoni (intervento documentato nel “Registro di contabilità” della stessa ditta, in data 29 ottobre 1953). Oltre ai segni dello Zodiaco, al centro del piazzale, venne rappresentata l’immagine della rosa dei venti che, a seguito del sovrapposizionamento della fontana, sparì. Tale simbolo, infatti, appare disegnato a matita nel progetto grafico del piazzale. Ultimato il piazzale, nell’aprile 1955, venne firmato un secondo contratto con l’Impresa Colantoni Arnaldo: “Appalto dei lavori per la pavimentazione del marciapiede antistante la terrazza a mare sita al piazzale Cristoforo Colombo al Lido di Ostia”. Il Capitolato, allegato all’atto, fornisce informazioni tecniche dettagliate circa l’esecuzione dei lavori elencando, in termini di costi, gli interventi da eseguire e i materiali scelti, gli stessi utilizzati anche per il piazzale pavimentato (pezzame di travertino e basaltina). Finalmente il 2 maggio 1955 anche il marciapiede venne portato a termine. Nell’agosto successivo, la rivista del Governatorato Capitolium dedicò un articolo alla nuova costruzione definendola «l'opera pubblica più notevole del nuovo centro balneare di levante» e così descriveva il piazzale: «una pavimentazione in travertino, decorata da grandi liste geometriche e dalla raffigurazione delle 12 costellazioni dello Zodiaco in pietra nera di Bagnoregio». Al centro della rotonda, contornata dai segni zodiacali, faceva bella mostra di sé una rosa dei venti, di cui rimangono 8 vertici.
Non avendo rintracciato alcuna documentazione in merito, unico riferimento possibile è quello stilistico che rimanda ai mosaici in bianco e nero di età imperiale presenti negli scavi di Ostia Antica, e che avevano un precedente nei graffiti che decorano l’ex Palazzetto del Governatorato di Ostia (oggi sede del Municipio X) affidati al prof. Umberto Calzolari dal progettista e architetto Vincenzo Fasolo. Come si evince da quanto fin qui detto, la costruzione della fontana avvenne in un secondo tempo, non troppo distante, anche con funzione di serbatoio di riserva per l’impianto antincendio a servizio delle aree verdi del vicino Parco di Castel Fusano: era costituita da due vasche circolari concentriche, realizzate in muratura di mattoni, rivestite in cemento. «Si era pensato di creare una fontana la cui vasca consentisse un accumulo d’acqua capace di sopperire allo scopo originario», con un serbatoio di circa cento metri cubi di capacità, alimentato mediante un pozzo artesiano da trecento litri al minuto. A causa delle esigue risorse finanziare, si riuscì a realizzare un’opera modesta, almeno per quanto riguarda la struttura architettonica, utilizzando anche materiali di recupero. Infatti, il 4 novembre 1957 - come riportano i quotidiani dell’epoca - la fontana del “Belvedere di Ostia”, venne inaugurata alla presenza del Sindaco di Roma, Umberto Tupini, di fronte a un pubblico stupito e plaudente «quando il primo zampillo si è innalzato per oltre 20 metri verso il cielo», insieme a musiche e luci. Gli effetti luminosi erano ottenuti mediante 100 lampade, con potenza fino a 500 W, nascoste nelle nicchie delle vasche, mentre il circuito idrico funzionava con l’ausilio di quattro ugelli rotativi che si attivavano con un comando idraulico (l’incarico di realizzare l’impianto di illuminazione era stato affidato all’A.C.E.A. ). Un progetto avveniristico, ideato dall’ingegnere comunale Mario Ferrero, che permetteva di aumentare e diminuire il getto d’acqua a seconda delle circostanze: poteva raggiungere i 25 metri di altezza, creare effetti luminosi spettacolari con cinque variazioni di colore, con accompagnamento di un sottofondo sonoro. Era un sistema talmente complesso da gestire, da richiedere una vera e propria regia guidata da una tastiera provvista di trenta comandi (poteva essere telecomandato a distanza, dall’abitazione dell’ingegnere che la ideò, non lontano dalla piazza stessa). Doveva essere un sistema permanente e radiocomandato, anche dal pubblico che, tramite una gettoniera a pagamento, avrebbe potuto creare effetti sonori e luminosi a proprio piacimento. Purtroppo però, alla morte improvvisa dell’Ingegnere nel 1963, non si trovò un successore che si prendesse cura del complesso meccanismo e la fontana cessò di brillare. Diversi tecnici provarono a farla funzionare, ma nessuno ci riuscì, così «è rimasta senza acqua, senza luci e senza musica». Tuttavia, cinque anni dopo la morte dell’ideatore della fontana, il Comune decise di ripristinare gli impianti luminosi ed elettrici dando l’incarico all’A.C.E.A. Nell’ottobre 1968, con questo scopo, venne redatto un progetto per la «Nuova sistemazione dell’impianto» volto a ridimensionare il suo funzionamento che prevedeva l’eliminazione del telecomando. La fontana riprese a vivere. Di lì a poco però, nel periodo dell’austerity, tutti gli impianti di illuminazione artistica della capitale – e non solo - vennero spenti per motivi economici, quindi anche la fontana di Ostia rimase oscurata per un lungo periodo. Come racconta un testimone dell’epoca, Pietro Stocchi (Perito tecnico dell’A.C.E.A., progettista responsabile dell’illuminazione pubblica, monumenti e fontane artistiche tra il 1980 e il 1990), la fontana tornò di nuovo a diffondere luce a metà degli anni Ottanta. Con l’intento anche di diminuire il consumo energetico, in base alle nuove normative introdotte, venne ridotto il numero di fari subacquei (che da 100 passarono a 20) e sostituiti con quelli a basso consumo, orientati in modo da dare risalto ai getti d’acqua che si intrecciavano a forma di campana assieme allo zampillo centrale. Le lampade, inoltre, erano collegate al sistema di illuminazione pubblica stradale, mediante un timer che le teneva accese ogni sera, per sei ore. Successivamente a questa importante opera di riqualificazione, l’impianto idrico è stato ripristinato più volte, mentre la pavimentazione, i cui materiali nel corso del tempo si erano notevolmente deteriorati, hanno subito diversi interventi di restauro, tra cui i più significativi, effettuati dal Municipio e dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali nel 1993, nel 2001 e nel 2005. La fontana ha cessato di funzionare definitivamente circa 10 anni fa, con conseguente interruzione dell’accessibilità dell’area per questioni di sicurezza. Nel corso degli anni, infatti, i fenomeni di degrado si sono ulteriormente accentuati sull’intera superfice della pavimentazione, in particolare sulla decorazione a mosaico, interessando inoltre la balaustra che la circoscrive. La fontana e la pavimentazione con i segni zodiacali sono state oggetto di diversi interventi di manutenzione nel tempo. Nel primo, risalente al 1993 a cura dell’Ufficio Tecnico della XIII Circoscrizione, è stata incaricata dei lavori la ditta M. Bigelli. L’intervento è consistito nel ripristino della fatiscente balaustra, nel rifacimento della scalinata di accesso e dell’intonaco delle due vasche, nella ripresa della pavimentazione della rotonda e dell’area antistante, nell’integrazione delle porzioni mancanti di due segni dello Zodiaco (probabilmente Cancro e Leone). Inoltre è stata installata una rampa di accesso alla “rotonda” per persone con disabilità. Con il secondo intervento, avvenuto a cura del Dipartimento XII di concerto con la U.O. Monumenti Medievali e Moderni della Sovrintendenza Capitolina, ed eseguito nell’aprile-giugno 2001 dal consorzio Restaurea e dall’impresa D’Ortensi, sono state effettuate diverse operazioni per recuperare alcune zone del mosaico che si presentavano in un avanzato stato di degrado. Nello specifico si è proceduto al consolidamento dei vari segni per la presenza di fenomeni di scagliatura e di fessurazione, e alla tassellatura del Capricorno, Sagittario e Ariete che risultavano mancanti di estese porzioni di basaltina, mentre, dal segno zodiacale dell’Acquario, sono state rimosse le sedimentazioni calcaree. Nel dettaglio le operazioni eseguite sono state le seguenti: bendaggio temporaneo delle aree in fase di distacco, pulitura di tutte le superfici, consolidamento in profondità con malte idrauliche e pozzolana/cocciopesto superventilati, integrazione delle parti mancanti in basaltina previa pulizia delle zone per il nuovo allettamento della tassellatura, rimozione delle stuccature inidonee, microstuccatura e stuccatura delle lacune e dei giunti, applicazione di un protettivo superficiale. In quella circostanza è stata effettuata anche la ripresa e la tinteggiatura del bacino più interno della fontana in cemento. Nel marzo del 2005 un nuovo progetto di manutenzione, sempre a cura della U.O. Monumenti Medievali e Moderni della Sovrintendenza, ha interessato ampie porzioni di alcuni segni zodiacali risanando anche alcune parti della pavimentazione in travertino. In particolare è stata ripristinata la tassellatura di tutta la parte anteriore del Toro, che era andata totalmente perduta, rimosse le stuccature inidonee quindi si è proceduto al loro rifacimento. Da ultimo, sono state realizzate delle stuccature tra basaltina e travertino di molti segni con malte fibrorinforzate, dopodiché sono stati consolidati in profondità, con resina epossidica, i segni del Sagittario, della Bilancia e del Leone che presentavano dei rigonfiamenti. 

(dalla Relazione a cura della Soprintendenza ai Beni Culturali in conferenza di servizi)



lunedì 19 aprile 2021

"OSTIA CRIMINALE": 77 MINUTI DI SMORFIA

Non è il movimento (politico) del '77. Assomiglia di più all 77 della smorfia napoletana indicante le gambe delle donne e dunque il demone. 77 minuti è la durata di "un documentario che racconta una storia vera" - così lo definisce la produzione - un numero palindromo, peccato che non lo sia il docufilm, così come non è un "documentario di inchiesta". Tutte cose vecchie almeno di 20 anni, come ben ha ricordato Giulio Mancini in questo articolo (*). Una voce autorevole come quella di Antonio Del Greco ha impiegato meno di 7 secondi, definendolo "imbarazzante" (**).
Per smontare un falso teorema ci vuole molto tempo. Se hanno impiegato 77 minuti per montarlo, come minimo ce ne vogliono 777 per smontarlo , cioè 12,95 ore, improponibile su un post su fb.
Provo in 7 minuti ad evidenziare uno dei punti che salta subito agli occhi: come hanno potuto due persone come il Comandante della Mobile di Roma Luigi Silipo e il Colonnello Pasqualino Toscani dell'Arma dei Carabinieri essere affiancati in un film da persone le cui "parole più preziose", non mi pare che "arrivano dalle testimonianze di colore che, sfidando il potere aberrante delle mafie, hanno aiutato a combatterle nel nome della giustizia e della libertà"?
Lo chiedo perché il "documentario di inchiesta" è firmato dal giornalista Daniele Auteri che il 16 ottobre ha scritto una recensione di 3 pagine sul film "Punta Sacra" (che riporto nei commenti al post), in concorso al festival del cinema di Roma, per Venerdì di Repubblica, girato all'Idroscalo di Ostia, che così descrive: "è rimasto sempre ai margini delle grande inchieste giudiziarie che hanno sgominato le mafie di Ostia ... lontani anni luce da quei clan ... che hanno messo Ostia sulle mappe del crimine organizzato". Eppure nel suo film le immagini sull'Idroscalo sono tantissime e sparse ovunque, spesso scollegate con la narrazione e che dice l'opposto di quanto lo stesso Autieri ha scritto pochi mesi dopo le riprese del suo docufilm, anche lui in concorso al festival.
Come è stato possibile che
Daniele Autieri
non sapesse che <<con determinazione dirigenziale n. 302 del 18.06.2010 il Comune di Roma disponeva lo sgombero dell’alloggio sito in via Antonio Forni n. 22 occupato da Silvano Spada. Il 24 giugno agenti della Polizia municipale arrivati sul posto circa alle 8.30, supportati da Polizia e Carabinieri, bloccavano l’entrata del palazzo. Due ore dopo, alle 10.30, una decina di persone tentavano di varcare il cordone per salire nell’appartamento al secondo piano ma venivano respinte a forza ottenendo comunque una proroga di 15 giorni dello sfratto. Tra queste persone, oltre a Massimiliano Spada (fratello di Silvano) anche S.G., segretaria (dal 2006 al 2015) della sede del PD di via Forni 16, sede chiusa per morosità per non aver mai pagato l’affitto al Comune di Roma. Una sede che invece, secondo i collaboratori di giustizia, avrebbe regolarmente pagato per anni il ‘pizzo’ al clan Baficchio, rivali degli Spada (come riportato dalla Procura di Roma). Secondo la versione di S.G., rilasciata alla stampa, Silvano Spada aveva sempre vissuto lì, prima con la nonna (che era l’assegnataria della casa) e poi, dopo la morte della nonna, con sua figlia.
S.G. con l’avvocato L. I. utilizzò a quel tempo i 15 giorni di proroga dello sfratto per fare ricorso al TAR che però il 15 settembre 2010 (n.04018/2010 Reg.Ord.Sosp.) respinse la domanda incidentale di sospensione dello sfratto ritenendo che non vi fossero "gli elementi per ritenere che il ricorrente (Silvano Spada) facesse parte del nucleo familiare dell’assegnataria (la nonna)".
Non si ha notizia di cosa abbia in seguito deciso il TAR, fatto sta che quando il 9 ottobre 2018 (8 anni dopo) spararono al portoncino della casa di Silvano Spada l’indirizzo era sempre quello: via Forni 22. Una casa occupata abusivamente come ha raccontato la stampa: "maxi blitz in stile militare a Ostia per lo sgombero di un’altra casa popolare occupata abusivamente dagli Spada (dopo quello di giovedì scorso). A vivere indisturbati nell’abitazione erano la compagna e i figli di Silvano Spada, attualmente in carcere. Oltre 150 agenti del Corpo di polizia locale di Roma Capitale sono intervenuti in via Forni 22, a Ostia, per il recupero della casa popolare illecitamente occupata".
Questo faceva il circolo PD di via Forni che ad Ostia è chiamata dai residenti la ‘vietta’. In realtà è stata lo stradone della droga: rendeva fino a 15.000 euro al giorno, con tanto di dosi passate dai balconi agli spacciatori. A gestirla per molto tempo, affinchè tutto fosse tranquillo, Michael Cardoni oggi con Tamara Ianni (sua moglie) le fonti ritenute più attendibili da parte della Procura di Roma nel processo contro il clan Spada. Michael Cardoni per quel lavoro percepiva 200 euro al giorno fino a quando non venne ucciso a novembre 2011 il cugino di suo padre, Giovanni Galleoni, capo indiscusso del clan Baficchio, rivale degli Spada. Era di Giovanni Galleoni la palestra abusivamente occupata in via Forni 41-47 poi diventata degli Spada e fatta chiudere sotto Marino. Su via Forni al numero 16 c’era sempre stato il circolo del PD (chiuso il 19 maggio del 2015 per occupazione abusiva) e anche, dal 2005, al civico 39, lo sportello della Romeo Gestioni (davanti alla sede del PD, sul lato opposto) come punto di contatto per le 1042 famiglie delle case Armellini.
Non solo gli Spada furono aiutati dal PD ad occupare le case ma anche i ‘Baficchio’.
Dalle parole di Tamara Ianni, la collaboratrice di giustizia che ha denunciato il clan Spada, emerge il ruolo della ex sede del PD di via Antonio Forni a Nuova Ostia (la ‘vietta’). La sede, che non ha mai pagato per oltre 20 anni un euro al Comune occupando un alloggio che però il Comune pagava al gruppo Armellini, aiutava a ‘regolarizzare’ le occupazioni abusive collegate anche alla criminalità locale. Ciò si evince appunto dalla testimonianza di Tamara Ianni, la moglie di Michael Cardoni, figlio di Massimo a sua volta cugino di Giovanni Galleoni, quest’ultimo noto come «Baficchio» e considerato uno dei discendenti della Banda della Magliana (ucciso a Ostia nel 2011, inizio della predominanza del clan Spada). Galleoni aveva un 'libro mastro' (mai ritrovato) in cui annotava i propri proventi illeciti: pizzo, estorsioni, usura etc. Secondo i collaboratori di giustizia e la magistratura inquirente, anche la sede PD di via Antonio Forni pagava il pizzo. Per le case, il gioco allora era facile. Bastava occupare abusivamente una casa popolare, autodenunciarsi al Comune di Roma (lo sportello della Romeo era in via Forni, davanti alla sede del PD) e attendere l'arrivo dei vigili che prendevano atto dell'occupazione. Eletta la residenza in quella casa, si iniziava a pagare al Comune una indennità di occupazione per poi presentare una istanza di assegnazione della casa occupata grazie agli avvocati messi a 'disposizione' dal PD. Il Comune di Roma, con proprio ufficio, si occupava poi dell'istruttoria delle domande di regolarizzazione delle occupazioni abusive di questi alloggi di edilizia residenziale pubblica. Un metodo semplice e redditizio dal quale scaturivano centinaia di voti per il PD di Ostia>> (***)
Ma lo sa Autieri, ad esempio, che S.G. lavora dall'anno prima delle riprese del suo docufilm come segretaria presso uno stabilimento balneare di Ostia che nel film sono definiti mafiosi? Mi fermo qui per oggi.
Se fai un'inchiesta dovresti sapere queste cose e molte, molte altre verità, che ad Ostia conoscono tutti.
"Imbarazzante" per le persone per bene delle forze dell'ordine. Perché non posso credere che ad esempio il Colonnello Toscani si sarebbe prestato ad una cosa simile.
(segue)
Ma la domanda più importante è un'altra: a chi giova questa sceneggiatura?

mercoledì 14 aprile 2021

'SPACCIOARTE' E L'ASINO BENDATO

 

Solo amarezza a Nuova Ostia nel vedere un pullman verde girare in tondo per due ore sull'asfalto dissestato di piazza Gasparri, come un asino bendato alla mola. Attorno saracinesche abbassate da anni, tetti d’amianto e palazzi che cadono a pezzi, dove oltre 5.000 persone in fragilità sono sotto sgombero per uno dei più grandi scandali di Roma Capitale.

Affermare che l’asino bendato che raglia stornelli intonati sia un “messaggio forte e decisivo nella lotta a qualsiasi forma di illegalità … e sia il rilancio e il riscatto delle periferie” rende plastiche le parole di Thomas Reid, “non esiste più grande impedimento per l’avanzare della conoscenza che l’ambiguità delle parole”.

A Roma il tema casa è legato a doppia maglia a quello della legalità.

Un asino bendato, e per questo ‘scortato’ dalle forze dell'ordine, è apparso come un’orrenda operazione muscolare travestita da arte, un’applicazione selettiva, parziale e distratta della legalità.

Decenni di abbandono delle periferie non hanno generato un nuovo pensiero che ne chieda davvero il riscatto sociale in un quadro di ripristino della legalità a partire da chi la dovrebbe rappresentare.

La città ha bisogno di costruire, con il coinvolgimento pieno degli abitanti, un progetto di recupero sociale e fisico delle periferie per trasformarle radicalmente e in cui tutti, nessuno escluso, è chiamato a partecipare e a discutere. La buona cultura è l’unica via verso la buona politica.

E proprio perché la legalità è una cosa seria non può essere ridotta né a questioni meramente di ordine pubblico, né ad esibizioni folkloristiche o sedicenti operazioni di decoro spacciate per riqualificazione urbana. Richiede una strategia complessiva, che va dagli interventi sociali all’integrazione culturale e politica. Questa è la via maestra verso una sicurezza che non smantelli le garanzie, ma le faccia penetrare più profondamente nel tessuto cittadino, se questo era l’obiettivo.

Un’iniziativa come “Spaccio Arte” appare così solo una esibizione dello “zelo dei giusti” accecando qualunque approfondimento e dibattito politico. Una rappresentazione autocelebrativa di un sedicente primato morale, che riduce una questione complessa ad uno scontro bipolare che assume tratti classisti, nell’intento fallimentare di generare nei destinatari un obbligo morale ad aderirvi, per certificare la propria appartenenza alla schiera dei migliori e finendo per amplificare archetipi ancestrali e radicati.

La “periferia” è la città, che condivide con civiltà il medesimo etimo (civitas), “la villa (cascina, podere e, per sineddoche, la campagna tutta) partorisce non solo il villico, ma anche il villano e l'inglese villain, cioè l'antagonista, il malvagio, l'irredimibile cattivo delle fiabe”, una narrazione tra le più semplicistiche, banali e scontate di una politica non più presente a se stessa.

L’obiettivo non era neppure quello di misurare la qualità della “gente” meritevole  perché diligentemente plaudente. Anzi, il flop inevitabile serviva a rafforzare la narrazione di una periferia omertosa e pertanto silente. Non c’era dunque alcuna speranza di “riscatto” per quella “piazza dello spaccio”.  E se i residenti avessero gettato pomodori dalla finestra e gridato ‘vergogna che ci fate vivere in queste condizioni abitative’ avrebbero confermato comunque la narrazione che li vuole mafiosi e violenti.

Il politico buono non è quello onesto e il popolo buono non è quello che fa i compiti a casa senza interrogarsi sulla bontà del progetto politico sotteso.

Quell'asino bendato che si aggira nelle piazze di spaccio non dovrebbe stornellare, ma essere un urlo dionisiaco.

Confondere il proprio ruolo politico travestendosi da vigile di quartiere canterino per due ore ha sancito il fallimento delle politiche di controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine e quello politico da parte dell’amministrazione, in cui permangono le condizioni politiche che ostacolano l'adesione alla legalità.

L’iniziativa non è riuscita nemmeno ad essere una valvola di sfogo simbolica e mutilata in tempi pandemici così difficili, ancora più difficili nelle “periferie”, e nemmeno è riuscita ad allestire nel virtuale la sceneggiatura di uno spazio pubblico verosimile e sempre deformabile a comando.

Questa idea di ‘spacciare’ arte su un mezzo dell’ATAC (scopiazzata malamente da altri) risponde ad una delle regole fondamentali dell'insiemistica, non si può salvare qualcuno condannando tutti. E quella piazza era già condannata. Per altro tradisce l'illusione di superare la fatica del confronto e della riflessione politica per agganciarsi a un principio insindacabile, incorruttibile e superiore, cioè quella del politico buono perché onesto. La “cosa giusta” infatti non è discutibile, non è opinabile, non si può parlarne, non la si può dibattere, non la si può criticare. Se lo si fa si diventa nemici del “giusto” e quindi malvagi, criminali, fiancheggiatori. Si può solo tacere portando la croce dell’omertoso.

E come gli antichi monarchi, le ‘autorità’ presenti, come un codazzo ad un funerale, si sono  ingraziate l’appoggio dell' ‘autorità’ religiosa per accreditare i propri messaggi. E così abbiamo visto il prete accanto alle ‘autorità’, ma non quello di Santa Monica, bensì di San Basilio.

Così è, se vi pare.