mercoledì 12 ottobre 2011

No ad Olimpiadi bene comune

Se è poco comprensibile che i paesi di tutto il mondo si azzuffino per ospitare le Olimpiadi lo è ancora di più sentire parlare di “Olimpiadi bene comune”.

Tutti sanno che i vantaggi economici per un paese che ospita le Olimpiadi sono raramente positivi e quelli non economici sono difficili da misurare. L’unico ricaduta positiva e misurabile è quella sull’esportazioni commerciali, che prescinde dal fatto che la candidatura venga bocciata e dunque non ha nulla a che vedere con l’aumento dei flussi turistici, come invece sostiene il comitato promotore.
Le Olimpiadi sono utilizzate dalla politica per dare un ‘segnale’, che viene pagato quasi sempre a caro prezzo dalla collettività. Non a caso “Olimpiadi bene comune” nasce dalla volontà di alcuni amministratori comunali, provinciali e regionali, e precede due appuntamenti importanti: l’assegnazione delle Olimpiadi 2020 (il 7 settembre 2013 a Buenos Aires) e l’elezione del Sindaco di Roma (a maggio 2013). Le Olimpiadi dunque sono oggetto della campagna elettorale di tutti gli schieramenti.

Nessuno che presenti mai un’analisi costi-benefici. Le Olimpiadi invernali di Torino 2006, ad esempio, hanno lasciato la città sommersa dai debiti. Le Olimpiadi di Atene 2004 hanno lasciato 20 miliardi di euro di debito per le grandi opere, dove hanno speculato banche e grandi imprese di costruzione, mentre allo Stato è rimasto da pagare un conto salatissimo. Senza parlare dei Mondiali di Calcio ’90 e di quelli del Nuoto Roma ’09.
Tutti vogliono sedersi al tavolo, magari in nome del ‘bene comune’. Nessuno però che chieda di sedersi nella cabina di controllo, quella dei costi-benefici.
Le Olimpiadi saranno l’ennesimo appuntamento con la logica del grande evento, poteri commissariali, deroghe e quant’altro, senza alcuna garanzia di trasparenza dei processi decisionali sulla città e sul suo funzionamento. Le trasformazioni che le Olimpiadi comporteranno per Roma, in termini di opere e di cambi d’uso e di proprietà, devono avvenire sulla base di regole chiare, definite in modo trasparente, applicate senza deroghe e favoritismi, condivise con la cittadinanza tutta e non solo con l’associazionismo di base o quello ambientalista. Nella logica del grande evento infatti si perde sempre il controllo sull’uso del suolo, delle urbanizzazioni, del loro uso, che deve servire tutti i cittadini, non solo alcune categorie.

Ricorrere poi alla retorica suggestiva della “mobilità alternativa intermodale con il trasporto pubblico … che porti ad un 10% in meno di auto circolanti”, come sostiene “Olimpiadi bene comune” significa non conoscere, in qualità di amministratori, la grave situazione in cui versa la mobilità della Capitale e che pone la rete di Roma tra le più sottosviluppate in Europa, sia in termini di numero di veicoli circolanti, sia per la percentuale degli spostamenti su trasporto pubblico. Ancora oggi non esiste un PUM (piano urbano della mobilità).

Far passare l’idea, anche questa suggestiva, che le Olimpiadi siano un ‘bene comune’ significa soprattutto rafforzare il concetto, fino ad oggi utilizzato nei grandi eventi, che le opere da realizzare siano di ‘pubblica utilità‘, ma la storia, anche recente dei Mondiali di Nuoto Roma ’09, ci dice che non è così. Nel caso specifico dell’Olimpiadi a Roma significa consentire, da qui al 2020, la costruzione di impianti (pubblici e privati) in deroga al Nuovo Piano Regolatore e al PS5, cioè il piano ‘regolatore’ del fiume Tevere. In particolare il PS5 (Piano di Stralcio 5, da Castel Giubileo alla foce del Tevere) impone vincoli sulla fascia fluviale del PRG, ma paradossalmente le Olimpiadi 2020 sono state pensate lungo tutta la fascia del fiume Tevere.

A prescindere che il processo per i Mondiali di Nuoto Roma ’09, previsto ad ottobre, possa andare in prescrizione e che si tenga quello ad Aprile 2012 contro la ‘cricca’, rimane un fatto: il coinvolgimento di tutti i partiti (a diverso titolo e peso) in queste vicende, gli stessi che oggi si schierano a favore delle Olimpiadi, ma che non hanno mai fatto chiarezza al proprio interno su questi avvenimenti. E’ una questione di credibilità. Per altro risulta ancor meno credibile il Comitato Promotore per le Olimpiadi Roma 2020 che vede al suo interno soggetti inquisiti o condannati o rinviati a giudizio anche per scandali legati ai grandi eventi più recenti. Come ci si può sedere ad un tavolo simile ?
Lo sport di base è sicuramente in sofferenza ma ciò non deve giustificare compromessi con gli speculatori che vogliono distruggere il piano regolatore del Tevere, come nell’ipotesi de villaggio olimpico a Tor di Quinto.
Mentre su Roma va in tour “Olimpiadi bene comune”, nessuno chiede e pretende che venga realizzato il Piano Regolatore dello Sport, sempre annunciato e mai fatto. Occorre serietà e coerenza, è ora di abbandonare finti slogan quali il “rilancio della città“. Le Olimpiadi 2020 non sono un ‘bene comune’, sono solo l’incontro tra politica e affari, soprattutto quello delle multinazionali e dei costruttori, in una città come Roma che da 20 anni fallisce la programmazione sugli impianti sportivi. Un esempio su tutti, il fallimento delle piste ciclabili, realizzate in base alla mobilità alternativa quando invece dal 2006, per la mobilità, esiste un’ordinanza commissariale che assegna al Sindaco di Roma poteri speciali con cui però si stanno compiendo i disastri delle metropolitane, da Veltroni ad Alemanno.
Proporre per il nuovo villaggio olimpico realtà come la Fiera di Roma, Commercity, Tor Vergata (tre fallimenti di Veltroni, tre incapacità di Alemanno) non ha senso a livello urbanistico perché un Villaggio Olimpico deve essere vicino agli impianti sportivi. Parlare poi di impianti diffusi ha senso quando esiste una rete di mobilità degna di questo nome e che Roma non possiede.
Per altro il cuore delle Olimpiadi è l’atletica leggera che si svolgerà nello Stadio Olimpico. Se ci sono aree alternative a quella improponibile di Tor di Quinto per il villaggio olimpico, una vera provocazione sarebbe quella di impiegare le vecchie caserme dismesse di Roma, distribuite in più municipi, e immaginare poi di convertirle, a fine Olimpiadi, in un piano di valorizzazione degli immobili, con servizi per la città come biblioteche, asili, scuole e parchi e una forte quota di edilizia residenziale pubblica. Ciò potrebbe servire anche ad eliminare il rischio della speculazione su aree analoghe da parte dei costruttori, che invece la delibera comunale n° 60 del 2010 favorisce.
Rimaniamo assolutamente contrari, senza se e senza ma, ad ogni utilizzo delle fasce golenali o delle aree di esondazione del Tevere, compreso il riuso del Salaria Sport Village, che va abbattuto.

L’unica vera sfida non è “Olimpiadi bene comune” ma “città bene comune”.

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