Razzismo, antisemitismo, omofobia, xenofobia, sessismo … in una parola sola, violenza.
Violenza come modalità espressiva, soprattutto praticata in gruppo con qualunque pretesto.
L’ultimo episodio ad Ostia contro un giornalista pestato al grido di “frocio comunista”, ma poteva accadere ovunque. La sub cultura non ha confini geografici.
Di episodi tragici, come ad esempio la violenza sessuale, ne accadono in continuazione, dalla nuova fiera nella notte di capodanno all’episodio de La Storta sfruttato dalla destra in campagna elettorale. Sarà anche un problema di illuminazione elettrica, ma è soprattutto un problema di cervelli spenti.
Non è Roma ad essere violenta. Sono gli individui quando usano un linguaggio verbale e corporeo violento verso i diversi da sé. Individui prima di tutto pigri mentalmente, perché è poco faticoso associare molte persone sotto un’unica idea: tutte insieme senza distinzioni individuali. E' un vero e proprio codice di riconoscimento: gli omofobi, i razzisti, gli antisemiti, i xenofobi, i sessisti … vanno d’accordo tra loro, si riconoscono e si attraggono; rinforzano le loro credenze a vicenda e accorgendosi che non sono soli a pensare in quel modo concludono che hanno ragione, secondo il falso sillogismo che la maggioranza ha sempre ragione. Proprio perché genera emulazione la violenza è facilmente portata ad espandersi. Non si tratta di fenomeni isolati, come alcuni politici affermano, perché se delle persone hanno il coraggio di rivelare il loro odio in pubblico, di esercitare la loro violenza pubblicamente, è perché sanno di poter contare su un appoggio, spesso anche tacito, dell’opinione pubblica.
Questa si chiama barbarie.
Ed è sbagliato mettere la testa sotto la sabbia o rifiutare di vedere. E ancora più sbagliato scegliere la strada assolutoria. Essere o sembrare deboli, nella modernità della competizione, della deregolazione, dell'individualismo e del mercato elevati a religione, è una colpa in sé. È una colpa essere donna, è una colpa essere senza casa, è una colpa essere nero, omosessuale, islamico ... Tutti loro sono la misura della debolezza profonda dei ‘forti’, la precarietà del loro diritto, la tranquillità del loro dominio.
I potenti non riescono a vincere davvero le guerre, i violenti non fanno che mettere in scena la loro paura, i razzisti non riescono a sentirsi superiori alle loro vittime, la finanza globale va in rovina e porta rovina con sé ... E' la rabbia frustrata di chi si crede forte e si accorge di non esserlo più che produce violenza.
Prima che alla violenza, domani, alla manifestazione di Ostia, dobbiamo prestare attenzione al linguaggio, perché esso è il veicolo primo e più potente di ogni forma di violenza.
Con il linguaggio si può deumanizzare o onorare, spogliare della dignità o dare dignità. Dobbiamo partire da lì. In Italia, sui giornali, in televisione, in Parlamento, si fa a gara per tirar fuori la parola più razzista, omofoba, sessista o l’espressione più volgare e intollerante. E il pubblico ride, senza rendersi conto che ridicolizza se stesso e prima o poi pagherà il prezzo di un senso comune di violenza e di sopraffazione che diventerà egemonico.
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