lunedì 15 aprile 2019

MODELLI CRIMINALI: MAFIE DI IERI E DI OGGI

"Modelli criminali: mafie di ieri e di oggi - Ed. Laterza), il libro di Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino (rispettivamente Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e Procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma), rappresenta un testamento del lavoro svolto nella Capitale. Un capitolo è dedicato interamente ad Ostia ed è ben lontano dalla descrizione che ne ha fatto certa stampa tossica e fintamente antimafiosa quando non collusa (un giorno anche questo altarino sarà scoperto).

Non è banale ricordare quanto più volte, anche nel libro, hanno riportato i due magistrati: «Anche dove non parliamo di organizzazioni di tipo mafioso – ha spiegato Prestipino – c’è una fortissima espansione dell’utilizzo del metodo mafioso. Non siamo più nel campo di applicazione del 416 bis ma siamo nel campo di applicazione di quello che oggi si chiama articolo 416 bis punto 1, cioè l’aggravante mafiosa. Perché molte di queste organizzazioni criminali, che hanno avuto contatti con le mafie tradizionali, e che NON diventano associazioni mafiose, e probabilmente non hanno neanche interesse a diventarlo, hanno cominciato a capire che se praticano il metodo mafioso hanno tutto da guadagnare. Infatti, negli ultimi anni, si è assistito alla reiterazione di comportamenti che sono la più eclatante testimonianza di questa espansione del metodo mafioso». Le parole sono importanti. Perché "se tutto diventa mafia, niente è mafia".
Questo è uno snodo fondamentale, che demolisce il pressapochismo di certa retorica che ha imperato in questi anni a Roma e soprattutto ad Ostia. Proprio per questo è particolarmente interessante un altro capitolo del libro dedicato alla "Corruzione vecchia e nuova", cioè al "rapporto che intercorre tra la criminalità di tipo mafioso e i reati dei colletti bianchi". Un'analisi che rappresenta ovviamente il punto di vista di due magistrati, uomini dello Stato, che hanno una visione profonda, ma anche selettiva, di un fenomeno criminale, ma che però è un importante punto di partenza per l'esercizio di critica.

Pignatone e Prestipino partono da un dato macroeconomico che per le sue dimensioni è non solo quantitativo, ma qualitativo: la Banca d'Italia ha calcolato che almeno negli ultimi anni, il riciclaggio coinvolge somme di denaro di importo pari a circa il 10% del PIL proveniente, in prevalenza, oltre che dalla criminalità organizzata, dall'evasione fiscale e dalla corruzione, aggiungendo che questa percentuale abnorme (quasi il doppio degli altri paesi occidentali) deriva dall'incidenza in Italia di alcune multinazionali del crimine. Definiscono inoltre approssimativa la stima di 60 MLD di euro per il fenomeno della corruzione, per cui deducono che non è pensabile che i due mondi criminali siano entità del tutto distinte e separate, senza rapporto e condizionamenti reciproci. E' quello che la Cassazione chiama "capitale sociale delle mafie", cioè l'insieme di relazioni con il mondo esterno alle mafie che però ne costituiscono la vera forza, l'elemento che spiega la loro potenza, molto più della mera forza militare. Lo strumento penale non è la soluzione miracolosa per qualsiasi problema, tanto più se questo ha carattere e dimensione colletivi. Lo conferma anche l'attuale Pontefice Francesco, rispondendo alla domanda su cosa può fare il diritto penale contro le corruzione: "La sanzione penale è selettiva. E' come una rete che cattura solo i pesci piccoli e lascia quelli grandi liberi nel mare. Le forme di corruzione che bisogna perseguire con maggiore severità sono quelle che causano gravi danni sociali, sia in materia economia e sociale".

I procedimenti per corruzioni in Italia non sono molti e troppo spesso derivano da altre inchieste e dunque "per obbligatorietà dell'azione penale", tant'è che i detenuti "colletti bianchi" in Italia sono 1/10  delle media europea. A Roma i reati di concussione accertati sono pochissimi, quindi più che il danaro si tratta di altre utilità. La strategia della mafia è cambiata insieme al paese. Gli stessi Pignatone e Prestipino mettono in guardia su una facile analisi delle realtà: "cosa ci fanno intravvedere oggi le indagini [...] è la punta dell'iceberg [...] inevitabile approssimazione".

Che tipo di corruzione esiste?
1) C'è sicuramente una "corruzione pulviscolare", cioè una miriade di fatti, anche di minima entità, basata sullo scambio di somme anche modeste con condotte od omissioni del pubblico ufficiale che costituiscono a loro volta quasi una routine, che viene socialmente tollerata, favorita da una cattiva amministrazione che rende più difficili i controlli dei processi decisionali, allunga i tempi di risposta e riduce la qualità dei servizi prestati.   
2) C'è poi la "corruzione sistemica" (in cui prevalgono modelli non pianificati di regolazione delle attività dei partecipanti) e di "corruzione organizzata", nella quale vi è un riconoscibile centro di autorità che ricopre il ruolo di garante dell'adempimento dei patti di corruzione e di rispetto delle corrispondenti norme di comportamento grazie alla sua capacità di risolvere dispute e comminare sanzioni, così da assicurare ordine, prevedibilità, stabilità nei rapporti. Di volta in volta possono essere partiti politici, clan politico-burocratici, alti funzionari, imprenditori o boss mafiosi o organizzazioni criminali.  Comunque la caratteristica fondamentale è la natura non occasionale né isolata degli episodi. Quindi è stabile, seriale, con una consolidata serie estesa e ramificata di relazioni informali, a volte illegali, tra una pluralità di attori che operano in settori diversi, cioè la "deprimente quotidianità della corruzione".

Purtroppo, come rilevano Pignatone e Prestipino, in questi schemi si trovano sempre più spesso anche i magistrati (amministratori contabili e ordinari) perché questioni importantissime sul piano economico vengono decise in sede giurisdizionale. Trovare il nesso, che spesso non esiste né sotto il profilo logico né documentale, tra chi eroga danaro (o altre utilità), il titolare dell'interesse che decide l'erogazione e il pubblico ufficiale che ne beneficia, è difficile. E questo rende complicato anche il piano probatorio e/o giuridico, come nel caso emblematico della figura del "faccendiere".

Accanto dunque alla banale corruzione basata sullo scambio immediato denaro/atto del pubblico ufficiale, si riscontrano schemi molto più articolari in cui non c'è più la diretta corrispondenza tra corruttore e beneficiario dell'illegalità politico-amministrativa perché la corruzione non è più connessa a singole attività amministrative, ma programmaticamente utilizzata da gruppi affaristici come strumento di potere per cui parlare di corruzione significa parlare di reati associativi, cioè criminalità economica e spesso anche mafiosa. In questa fase di debolezza della politica è un fenomeno molto grave.  Lo conferma anche la Cassazione: le mafie in questi anni hanno sempre fatto ricorso a metodi corruttivi, collusivi, come strumento per il conseguimento dei loro fini, ma la corruzione in questi casi non costituisce di per sé manifestazione del metodo mafioso né tanto meno il suo "capitale sociale". Sotto questo profilo e a dispetto di certi cialtroni della stampa giudiziaria che hanno derubricato alcune posizioni politiche per salvarsi la faccia, proprio l'indagine "mondo di mezzo" ha offerto alla Cassazione l'occasione per fare un passo in avanti importante riconoscendo che "una sistematica attività corruttiva posta in essere dall'associazione può determinare essa stessa, a certe condizioni, l'acquisizione della forza intimidatrice che caratterizza le organizzazioni mafiose".

C'è molto su cui riflettere ad Ostia. Ogni riga potremmo scrivere un nome e non solo del passato (anche recente), ma del presente.

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