mercoledì 10 novembre 2010

Piano Casa Regione Lazio: più che un Piano Casa, un Piano Casotto, cioè un piano di fare quel che mi pare.

Ieri si è tenuta l’audizione presso la Commissione Urbanistica in Regione Lazio con le Associazioni Ambientaliste, Comitati, Associazioni politiche e territoriali e Movimenti su quello che viene definito impropriamente “Piano Casa”. In effetti non si chiama così, bensì più coerentemente “Misure straordinarie per il settore edilizio”, anche perché la dicitura, anche solo giornalistica, di “Piano Casa” è assolutamente impropria in quanto il tema della casa e del diritto all’abitare non è nemmeno contemplato. Tralasciando di fare un’analisi sull’intera proposta di legge, che sarebbe troppo lunga, mi limiterò a soffermarmi sul Capo II-bis, “Ulteriori Misure per il settore edilizio”, art. 7 “Programmi integrati di riqualificazione urbana e ambientale”, ed in particolare sui commi 2 e 7. Premesso che un piano simile dovrebbe riguardare l’intera Regione Lazio e non i singoli casi di Roma, appare una coincidenza poco fortuita che si inserisca questa modifica proprio in un momento in cui si parla della riqualificazione di Tor Bella Monaca.

Vediamo di cosa si tratta.

Comma 2: I programmi integrati di riqualificazione urbana sono volti al rinnovo del patrimonio edilizio e al riordino del tessuto urbano, attraverso interventi di sostituzione edilizia, anche con incrementi volumetrici e modifiche di destinazione d’uso di aree e di immobili, a condizione che la ristrutturazione urbanistica preveda una dotazione straordinaria degli standard urbanistici e delle opere di urbanizzazione primaria.

Comma 7. Gli incrementi di edificabilità e le modifiche di destinazione d’uso di cui ai commi 2 e 3, sono stabiliti coerentemente con gli obiettivi da conseguire, secondo criteri e requisiti di sostenibilità urbanistica e compatibilità ambientale, senza generare, nel complesso, un incremento maggiore del 50% delle volumetrie demolite.

Innanzitutto questo tipo di programmi integrati non dovrebbe essere applicabili laddove sono previsti o addirittura in attuazione altri strumenti urbanistici (Piani di Riqualificazione Urbana, Piani Particolareggiati, Artt. 2 ecc.). E’ necessario infatti che venga completato prima quello che è stato pianificato o in corso di realizzazione. Non è nemmeno pensabile che questi nuovi piani integrati vadano in deroga ad uno strumento in attuazione con il rischio non solo di bloccarlo, ma di creare anche un danno erariale. Non basta dunque che la proposta di legge esiga che dentro ad un’area, in cui sono previste delle densificazioni (dovute a premi di cubatura), ci siano gli standard, perché quell’area è all’interno di un tessuto urbano che è stato regolato sulla base di pesi urbanistici che vengono di fatto stravolti (il piano mobilità ad esempio è stato in programmazione tarato sulla base del numero di abitanti, ma se il loro numero raddoppia le strade, che si diramano da quell’area, avranno un carico di abitanti che è il doppio di quello previsto, per cui cadrebbero di fatto gli standard dei servizi nelle aree limitrofe). Per altro, le opere in attuazione o da attuarsi sono quasi sempre di iniziativa privata. Si avrebbe dunque una situazione al limite del grottesco: il privato che ha fatto (come sempre accade) prime le opere private e che deve ancora realizzare quelle pubbliche potrebbe non essere più in grado di farle o i soldi previsti non essere più sufficienti alla loro realizzazione a causa del maggiore peso urbanistico dovuto alla densificazione.

Inoltre, queste nuove “Misure straordinarie per il settore edilizio” nulla dicono a proposito della monetizzazione degli standard non attuabili, ma semplicemente affermano che sono dovuti. Cosa accade se non sono attuabili ? Senza parlare poi della questione della "delocalizzazione": quando parliamo di Roma stiamo parlando di una metropoli, non di un piccolo centro della provincia di Roma. Delocalizzare pesi urbanistici ad esempio ad Allumiere non è come spostarli a Roma da un quadrante ad un altro o da un Municipio ad un altro. Supponiamo ad esempio che si debbano delocalizzare delle cubature che sono vincolate a stare vicino al trasporto ferrato. Cosa accade se non si trova un’area con questa caratteristica ? Non è dato sapere, perché il documento non specifica nemmeno questo, ma è certo che sarà la collettività a questo punto a pagare il conto. Per altro è presente un’incongruenza in questo fantomatico “Piano Casa”: da una parte si offrono premi di cubatura molto elevati e dall’altra si chiede la massimizzazione degli standard. In sintesi saremmo in presenza di un processo di riqualificazione che ha ovviamente un costo. Questo costo viene compensato con premi di cubatura richiedendo anche la massimizzazione degli standard. Dunque due sono le alternative: o si consuma più suolo o per evitarne il consumo si densifica. Ma con premi di cubatura così elevati (che sul Litorale laziale arrivano anche al 100%) avremmo dei palazzi molto alti e nel caso di Tor Bella Monaca addirittura dei grattacieli. Ma per Bella Monaca Alemanno ha già detto che preferisce seguire la prima strada, smentendo le sue dichiarazioni in campagna elettorale in cui ha sbandierato la necessità di non consumare suolo, ma di privilegiare densificazione.

Inoltre, altro tasto dolente è l’assenza di specifiche sui criteri con cui viene definito un’immobile degradato e dunque passibile di demolizione e ricostruzione con premio: quelli prima degli anni '50 ? Quelli con le facciate esteticamente non gradevoli al politico di turno ? Quelli realizzati da un architetto non gradito ?

Insomma, più che un Piano Casa, sembra un Piano Casotto, cioè un Piano “di fare quel che mi pare”.

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