mercoledì 2 settembre 2009

Omologazione e genocidio culturale.


“La cultura non è né di destra, né di sinistra, ma o è cultura o non lo è”. Giusto, bravo Bondi. Peccato che sia diventata omologazione e genocidio culturale.

Se è superfluo commentare il curriculum di Sandro Bondi, che non si capisce quali competenze abbia per occupare la poltrona del Ministero dei Beni Culturali, vale invece la pena di dire almeno “due paroline” sul lesto supermanager Mario Resca, neo sovrintendente del Comune di Roma di un'indefinita Direzione Generale per la valorizzazione dei beni culturali, che non solo è Re Mida Mc Donald, ma è anche presidente del Casinò di Campione, da cui non si è dimesso. Per il XIII Municipio la presenza di questo supermanager è una garanzia di continuità dell’offerta culturale tristissima che questo Municipio ha prodotto nell'ultimo anno (feste di borgata, tornei di poker Hod’em sul pontile, Amici di Maria de Filippi, Erotica Tour, premio della poesia a Licio Gelli, concerto di Fidenco, Tozzi e Masini … senza parlare della chiusura del Teatro del Lido, il problema della Casa della Cultura, il conflitto di interessi della famiglia Colloca, un Presidente della Commissione Cultura che scambia per degrado la sabbia messa sui mosaici per la loro conservazione … a cui si aggiunge la visione di Alemanno per il Litorale romano che prevede apertura di parco a tema della Roma imperiale, Casinò ... insomma un bordello culturale).
Forse adesso si capisce la nomina di Resca all’interno di un ministero che potrebbe essere la gallina dalle uova d'oro del Bel Paese.

Ma la gallina non mangia e le uova non riesce più a farle. Per quelle d’oro ci vuole un miracolo.
I proclami deliranti del Berlusca: “il FUS sarà reintegrato nel prossimo decreto legge attraverso lo spostamento di qualche risparmio sulla spesa.” Già questa sarebbe una battuta comica visto che solo negli ultimi otto mesi i conti pubblici hanno subito un aumento di 33,1 miliardi (una super-finanziaria) che non ci è dato sapere come siano stati spesi.
Insomma, negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una valanga di sciocchezze e banalità dal peso politico drammatico.
In sintesi potremmo dire che il nostro patrimonio è stato relegato a merce, che ha bisogno solo di “pubblicità” affinché il “visitatore-cliente” allunghi la mano, come la massaia, per afferrarla sullo scaffale dell’offerta turistica. Ma non basta. Il centro destra rispolvera le peggiori soluzioni del centro sinistra: l’apertura serale dei musei (sperimentata dal 2001 e annullata per mancanza di fondi), l’iniziativa privata e la defiscalizzazione, che in tempi di evasione fiscale è la seconda battuta tragico-comica.

I beni culturali non sono una merce e per questo vanno sottratti al mercato ed alla politica. Sono patrimonio di tutti e devono autogovernarsi attraverso organi tecnici con il massimo di autonomia e di libertà possibile per liberarla dal cancro della cattiva managerialità e politica.
Un tempo l'Italia aveva uno straordinario sistema policentrico di Sopraintendenze, sorrette da Istituti Centrali, che esaltavano il potere del sapere. Il mondo ce l'invidiava, e l'abbiamo distrutto, riducendo alla metà i bilanci, non bandendo più concorsi per rinnovare gli organici, non adeguando le retribuzioni, subordinandolo sistematicamente a controlli burocratici, pretenziosità manageriali e politiche, umiliandolo con immotivati commissariamenti (che finora non hanno risolto, come a Pompei, nessuno dei problemi per cui sono stati istituiti).

L'opposizione non è senza gravi responsabilità. È stato Rutelli a sottrarre al Consiglio nazionale dei Beni culturali la nomina del proprio presidente riservandola al ministro. Sono stati Bettini e Veltroni a calcare la mano (il modello Roma) sull'uso della cultura come vetrina pubblicitaria per la politica (il tappeto rosso alla Festa del Cinema). È stato Veltroni ministro a varare in pochi giorni la trasformazione dello stato giuridico degli enti lirici in fondazioni private, svendendo così al privato potere, ma ottenendo in cambio un aumento di risorse inferiore al 10%.

Dovremmo ragionare sul perché l'Italia spende per la cultura (scuola e università comprese) le briciole residuali del proprio bilancio, anziché contribuire a presentarla come «uno spreco» da tagliare. Qualche numero.

I tagli: un miliardo 276 milioni nel triennio 2009-2011. Un terzo delle cifre tagliate è stato amputato alla voce Tutela e valorizzazione. Per cui il Mibac e le Soprintendenze si limiteranno a pagare gli stipendi e poco più, secondo la logica dell’ente inutile “perfetto” che si mangia in costo del personale tutto ciò che incassa e/o riceve. Non basta: i tagli hanno spazzato via i 45 milioni preventivati in tre annualità dal ministro Rutelli per l’abbattimento di altri “ecomostri”. Peccato che, guardando meglio, si scopre che viene ridotta pure la spesa ordinaria destinata al comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio: ladri e rapinatori dell’arte e dell’archeologia festeggiano. Cosa potranno fare le Soprintendenze che già a metà anno non avevano più fondi per i telefoni, per i francobolli, per pagare le imprese di pulizia (bagni dei musei inclusi)? Ogni tecnico si ritrova alle prese con un migliaio di pratiche delicate all’anno. Le amputazioni vanno a minare l’attuazione stessa del Codice per il paesaggio, reso ben più stringente e severo, dalla gestione Rutelli-Settis, ragion per cui il saccheggio del nostro paesaggio sta riprendendo con grande vigore. Insomma, cultura come optional.
Senza parlare del Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus). Il taglio per le Fondazioni lirico-sinfoniche parte dai 51,7 milioni dell’anno prossimo e arriva, in progressione, agli oltre 101 del 2011. Il fondo per le attività musicali perde inizialmente 15,2 milioni e arriva a 29,8 milioni, mentre l’altro per le attività teatrali di prosa da va da 17,7 a ben 34,6 milioni. Ma ci saranno riduzioni di contributi anche per la già deperente danza classica. Va detto che ci sono Enti che registrano incidenze assurde del personale sui costi totali: l’Opera di Roma col record del 70,9 per cento.

Roma, con il progetto pilota di decentramento proprio nel XIII Municipio, che dovrebbe essere il centro della cultura in Italia (e nel mondo aggiungiamo) in realtà esalta proprio questo meccanismo di visione ipometrica della cultura, cioè delega una realtà storica-archeologia e culturale come Ostia ad un Municipio la cui competenza e conoscenza è nulla.

La cultura come stand fieristico, dove reperire cornetti porta fortuna.

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