lunedì 15 ottobre 2012

Il mio intervento al tavolo del "waterfront" del 9 ottobre 2012


INTRODUZIONE
Gli errori nello sviluppo urbano si pagano per secoli. Per questa ragione è fondamentale che chi progetta le città abbia come scopo principale quello di “far stare bene la gente”, e non lasciare semplicemente un segno o la propria griffe su un luogo. I cittadini devono provare un senso di gioia nel vivere la loro città, che invece tendono ad intristirsi sempre di più. L´uso dei materiali, dei colori, delle trasparenze è fondamentale per renderle appunto più gioiose. L´acqua, in particolare, rende le città più belle, ne raddoppia le immagini. Venezia è bella non solo perché è unica ma soprattutto perché c´è l´acqua. La cosa più importante però non è il fattore estetico, piuttosto quello etico. Bisogna costruire per far incontrare e non per dividere. La felicità di un luogo, di una città, sta nel creare incontri, nell´aprirsi agli altri. Quello che ha intristito le città e la società in generale è l´uso politico della paura, anche in Italia, il Paese che ha inventato la piazza, la città aperta. 

PARTECIPAZIONE
Ralph DiBart ha detto, la partecipazione “è come dirigere un’orchestra. C’è l’aspetto di concepire una sinfonia. Ma poi bisogna prestare attenzione a tutte le partiture, capire il contributo di ciascuno strumento, e orchestrare attentamente il tutto per costruire una musica grandiosa”. Ecco cosa dobbiamo fare a questo tavolo.

In uno dei nostri incontri la giornalista Alessandra Sozio ha detto con tono accorato “Ma ce l’avete un sogno? Siete ancora capaci di sognare che una città migliore sia possibile”. Ebbene, sono partita dalle sue parole e rispondo “Sì, è possibile e voglio parlarvi di un sogno divenuto realtà in soli 8 anni e solo alla fine vi dirò di chi e di cosa si tratta”.

SPERANZE

“Se dovessimo valutare i nostri successi o fallimenti in termini di reddito, dovremmo considerarci sconfitti sino alla fine dei tempi. Con le nostre scarse risorse, dobbiamo inventarci altri criteri per misurare i successi. Magari che tutti i ragazzi possono accedere a strutture sportive, biblioteche, parchi, scuole, asili. Considerare le città dal punto di vista della costruzione del benessere di chi le abita. Si deve promuovere la felicità umana. I sogni non costano nulla. E allora sogniamo. Iniziamo a immaginare come vorremmo la casa. Come vorremmo che stessero i nostri figli. É meglio guidare o camminare per andarsi a comprare il pane? È quella la base da cui partire per pensare alle città. Non abbiamo riflettuto a sufficienza su come viviamo. Abbiamo delegato troppe decisioni ad altri.  Non odio le auto, semplicemente amo molto gli spazi pubblici vissuti, dove si raduna gente di tutti i tipi per stare insieme: posti che spesso non esistono dove impera l’automobile. Posti che sono più che mai importanti nelle città povere, rispetto a quelle ricche, perché i poveri non hanno altri posti dove andare. Tutti abbiamo bisogno di vedere gente. Tutti vogliamo vedere il verde. I ricchi magari lo possono fare al loro circolo o in un’altra struttura privata. La gran parte delle persone però lo può fare solo in spazi pubblici, piazze, parchi, marciapiedi, greenway, trasporti pubblici. La prima cosa che deve fare una società democratica, è di mettere a disposizione i migliori spazi pubblici. Non sono affatto una cosa frivola. Sono altrettanto importanti di ospedali o scuole. Creano senso di appartenenza. Contribuiscono a creare un tipo di società diversa, dove si incontrano persone di tutti i ceti, una società più integrata e sana. Il mio obiettivo è stato di costruire una città per tutti i bambini. Il criterio di valutazione deve essere che una città buona è quella dove un bambino in bicicletta o in triciclo può girare dappertutto. Se va bene per i bambini, andrà bene per tutti. Invece negli ultimi ottant’anni abbiamo costruito città per muovere le auto, non per fare felici i bambini”.

In 8 anni ha realizzato 52 nuove scuole, 150 rinnovate, introdotti 14.000 computer negli istituti pubblici, aumentato le iscrizioni di studenti del 34%. Creato o restaurato 1.200 parchi e campi gioco in tutta la città.  Realizzato tre biblioteche centrali e 10 di quartiere.  Costruito 100 asili per bambini sotto i cinque anni, con una fonte assicurata permanente di finanziamento. Migliorato la qualità di vita negli “slum” portando l’acqua corrente al 100% delle famiglie, acquisendo terreni edificabili in periferia per prevenire la speculazione immobiliare e preparare edilizia economica con tutti i servizi oltre a verde, scuole, greenway.  Ridotto di due terzi il tasso di omicidi. Liberato i marciapiedi dai veicoli a motore , i cui conducenti li consideravano come una qualunque corsia di passaggio o di parcheggio. “I borghesi automobilisti sono quasi riusciti a farmi destituire, ma la cosa piaceva molto a tutti gli altri”. Realizzato 300 chilometri di piste ciclabili dedicate. Creato la più lunga via pedonale del mondo, con 17 chilometri che tagliano gran parte della città, e 45 chilometri di greenway su un percorso originariamente destinato a un’autostrada a otto corsie. Ridotto il traffico del 40% e introdotto un sistema che obbliga a lasciare a casa l’auto due giorni la settimana nell’ora di punta. Aumentate le tariffe dei parcheggi e le imposte locali sui carburanti, il cui gettito va per la metà a finanziare il sistema degli autobus. Introdotto la giornata annuale senza auto, in cui tutti, dai direttori generali ai portinai devono trovare un modo diverso per andare al lavoro. Piantato 100.000 alberi.  Il sistema di autobus veloci sposta oggi mezzo milione di passeggeri al giorno su corsie dedicate, un servizio da metropolitana per un costo di gran lunga inferiore. Il sistema di autobus veloci è di particolare interesse per gli amministratori dei paesi in via di sviluppo che vogliono evitare la congestione da traffico ma non hanno risorse sufficienti per le reti tranviarie o metropolitane. Il suo modello è stato esportato a Giacarta, Indonesia. Si devono a lui in qualche modo anche I progetti simili per Pechino, Delhi, Cape Town, Lima e Dar es Salaam in Tanzania, oltre agli ambiziosi progetti di reti ciclabili a Città del Messico, Cape Town, e Dakar, Senegal. 

Questo signore è l’ex sindaco di Bogotá, Enrique Peñalosa, che il Project for Public Spaces (PPS) ha inserito nell’elenco dei grandi “costruttori di spazi" insieme a veri giganti.

Quali sono gli errori più frequenti che si commettono nella progettazione dei “waterfront”, la serie di comuni inciampi da evitare, se si vuole che il recupero dei waterfront abbia un valore pubblico.  La prossima volta vedremo quali sono le regole per una buona progettazione.

Secondo Ethan Kent sono:

Errore n. 1: Interventi monofunzionali, nessuno spazio a multiuso
Prevedibilmente, qualunque progettazione delle sponde che si concentri su un grande progetto isolato, monofunzionale, di solito molto costoso. Quando un solo uso predomina in una zona, le altre attività vengono respinte all’esterno.

Errore n. 2: Dominio delle automobili
Il waterfront deve essere una delle molte mete in una città, non uno spazio da attraversare in auto. E pure molte città – come New York, Seattle, Barcellona o Parigi – hanno fortemente ostacolato l’accessibilità delle proprie sponde capitolando di fronte all’automobile. Multicorsie sopraelevate, larghe strade, parcheggi a dominare il panorama e ad escludere la gente da quella che dovrebbe essere una magnifica risorsa pubblica.

Errore n. 3: Troppi spazi a uso passivo o per il tempo libero
Le aree dove le persone si siedono o passeggiano funzionano quando collegano destinazioni/sedi di altre attività, a comporre un tutto diversificato. Quando però il waterfront è solo area naturale, spesso considerata sano contrasto agli spazi della città, l’ambiente perde le qualità vitali che attirano la gente verso l’acqua. Nello stesso modo le attività per il tempo libero che utilizzano grandi superfici, come campi da gioco (v. Golf), sono particolarmente difficili da integrare in una sponda se si vuole realizzare uno spazio vivo nelle varie ore della giornata e nelle varie stagioni. Zone naturali e per il tempo libero funzionano meglio se mescolate ad altri usi e destinazioni.

Errore n. 4: Spazi controllati da un privato, nessun accesso pubblico
La privatizzazione dei waterfront può assumere molte forme, come le residenze di lusso o insediamenti commerciali di alto profilo. Ce ne sono altre meno evidenti, che spesso passano inosservati. Recinzioni, mancanza di attraversamenti, ingressi mal segnalati, percorsi che finiscono in una proprietà privata: tutte queste caratteristiche rendono le sponde realmente non pubbliche.

Errore n. 5: Mancanza di destinazioni
Anche le zone meglio progettate e realizzate, con ottimi accessi pubblici, possono non riuscire a svolgere in pieno il proprio ruolo di luoghi di incontro. Se non esistono spazi particolari in grado di attirare le persone, l’intrinseca vitalità di un waterfront va sprecata. Creare spazi del genere non richiede grandi interventi. Comporta invece prevedere piccole attrazioni in grado di agire insieme: un approdo per barche, un ristorante, un campo da gioco, accostati in modo adeguato, possono ravvivarsi l’uno con l’altro e animare le sponde molto più di qualunque grande intervento.

Errore n. 6: Intervento di iniziativa privata senza partecipazione della comunità
Molti interventi sono gestiti da una “ development corporation”, ma quando l’obiettivo è solo realizzare un progetto, si lasciano ai margini obiettivi e partecipazione pubblica. Come accade per qualunque spazio pubblico, è la conoscenza dei desideri della cittadinanza a dover costituire la cornice generale dell’azione sui waterfront. Quando una città affida completamente il futuro di questi spazi a un costruttore, ne viene compromesso lo spirito essenziale. L’intervento edilizio privato è una componente necessaria del processo, ma non l’unica. Si deve inserire in una visione generale, non sostituirla.

Errore n. 7: Centralità della sola estetica architettonica
Molti spazi sulle sponde oggi diventano lo sfondo per edifici simbolo isolati. Edifici icone architettoniche che non facilitano un uso pubblico, né collegano l’attività del proprio livello terra con quella degli ambienti pubblici circostanti. In realtà, diluiscono il valore pubblico e sottraggono identità spaziale. Il Guggenheim Museum di Frank Gehry a Bilbao, Spagna, il Quadracci Pavilion di Santiago Calatrava al Milwaukee Art Museum, o la Bibliotheque Nationale di Parigi di Dominique Perrault, sono tutti sintomi della medesima malattia.
La riuscita della rivitalizzazione di un waterfront basata su un progetto che attira tutta l’attenzione è di breve durata, nei casi migliori. Una volta finito l’effetto novità, ci deve essere qualcosa altro per far tornare regolarmente nel tempo le persone. 

La prossima volta vedremo anche la questione della mobilità e della viabilità.



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