Le città le disegnano i palazzinari. Cruda verità. Peccato che Alemanno non abbia per se, né Giotto, né Cimabue. Lo slogan, con cui siamo usciti dall’incontro sul Piano Casa organizzato da Carta presso la sua redazione, dice sostanzialmente che non ci sono più gli standard urbanistici e che la politica di Alemanno, incentrata su “quante stanze” costruire è orientata alla vendita e non all’emergenza abitativa. Presenti i nomi più famosi tra gli urbanisti romani e nazionali e rappresentanti delle diverse Regioni e professori universitari. Si è affrontato il tema del Piano Casa lungo un percorso mirato ad evidenziare le contraddizioni Regione per Regione.
Ad una attenta analisi i Piani Casa sono a tutti gli effetti una mistificazione e l’ennesimo esempio della subalternità della politica alla lobby dei costruttori. Ancora una volta non si affronta infatti il problema tra cittadino e proprietario e il loro conflitto, spesso tutto interno. Scompaiono parole come rendita ed immobiliarismo, che invece ne sono l’anima. La pianificazione viene di nuovo cancellata dall’enfasi per il mercato, unico attore e principe di ogni argomentazione squisitamente neoliberista. Per quanto riguarda in particolare la Regione Lazio si è anche sottolineato come il Piano Stadi finisca per aggravare ancora di più la situazione, che ormai è talmente insostenibile da prospettare come unica soluzione il NO al consumo di territorio. Fuori dal tecnicismo della discussione destinato agli operatori, sottolineiamo come sia un vero peccato constatare che questo genere di incontri siano organizzati e sponsorizzati solo da alcune realtà e non vedano il coinvolgimento e la partecipazione attiva e critica di partiti importanti all’opposizione. Mentre il centro-sinistra latita, il PDL invece è bravissimo a vendersi un piano casa come un capolavoro, in effetti tagliato come un bravo sarto farebbe sul proprio target elettorale (v. cementificazione delle coste della Sardegna).
L’ultimo esempio viene dalla conferenza stampa che doveva esserci proprio ieri in Campidoglio sulle linee guide del piano casa e che è saltata con la scusa della non presenza di Antoniozzi. Forse devono ancora affinare la quadra, sistemando gli affari di qualcuno che è rimasto fuori e che sbraita. Il Piano Casa è solo un affare per i costruttori e ci rallegriamo che siano le conclusioni a cui è giunto anche Carapella.
Non si può avere un piano casa che crede di risolvere il problema dell’emergenza abitativa con l’housing sociale. Qualche dato. ¼ delle case nella Regione Lazio è abusivo, quasi 300.000 le case sfitte a Roma e gli oneri concessori derivanti da tale operazione serviranno per finanziare le spese correnti del comune e non per entrare nel fondo vincolato alle opere. D’altronde le casse dei Comuni sono vuote, a causa del mancato introito dell’ICI e di finanziamenti governativi solo promessi, per cui la prima manovra che fa un Sindaco, di qualunque colore, è quella di definire un piano edificatorio sulla base delle necessità di cassa. La collettività dunque viene gabbata due volte.
Sono dunque i palazzinari che finanziano i Comuni e dalla morsa di questo circolo vizioso non c’è volontà politica di uscirne. Un circolo vizioso che non consente uno sviluppo economico corretto e che finisce per controllare l’intera classe politico/amministrativa.
Scellerate le manovre di vendita del patrimonio pubblico, così come quelle del privatismo ecologista. La sostenibilità ambientale infatti deve andare assieme a quella urbanistica e non in contrapposizione, come ancora oggi molti movimenti ambientalisti continuano a sbandierare. Non si può guardare, come accade ad esempio con le 167 ai soli standard di zona, ma a quelli generali. Ancora oggi c’è chi propone la visione ottocentesca come unica risposta al fallimento della visione del 900, cioè alzare per non consumare. E’ dal 1995 che l’unica formula contenuta nei piani casa è quella dell’ampliamento, di case e casette, condomini e capannoni, gazebi e alberghi, indipendentemente da qualsiasi piano urbanistico o paesaggistico, dunque un non piano casa.
Il Piano Casa del Lazio, che si è limitato a ridurre i danni del Piano Casa Berlusconi senza riuscire ad essere riformista, ha due grandissimi difetti: la monetizzazione degli standard urbanistici e la continuazione dell’urbanistica contrattata, pratica scellerata che ha creato i guasti che tutti conosciamo. Accanto a questo mistificatorio piano casa è in atto una scellerata politica di privatizzazione degli spazi pubblici nel loro complesso, con la complicità di una stampa omertosa e silenziosa (come sta ad esempio accadendo sull'argomento de l’housing sociale) su vere e proprie truffe.
Non è vero che i soldi non ci sono, ci sono eccome, ci sono per fare opere scellerate come il ponte di Messina o il MOSE di Venezia.
E’ necessario dunque richiamare alla responsabilità tutti gli intellettuali che hanno tradito il loro mandato, a partire dalle università, concentrate più sulla gestione aziendale che non a produrre cultura. Va combattuto lo smarrimento culturale, subalterno alle egemonie che governano il nostro paese e che lo rendono sempre più schiavo e più povero. Va combattuta la perdita della memoria. E’ infatti dagli anni ’60 che non si riesce più a portare avanti battaglie importanti per dotarsi di strumenti adeguati alle esigenze del buon vivere, dimenticandosi che alcune importanti conquiste sono più attuali che mai. Si deve tornare a parlare di Welfare urbano come produzione di città con case, servizi e trasporti. Oggi invece si producono solo case come assemblaggi di stanze. Bisogna dire basta al fatto che ciascuno fa quello che vuole del territorio, alle deroghe alla pianificazione, al condono dell’abusivismo, all’incoraggiamento al consumo di suolo, al via libera alle iniziative immobiliari. Bisogna tornare a pianificare. Bisogna tornare alla pianificaziione partecipata.
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