lunedì 18 ottobre 2010
Evento: Idroscalo di Ostia (1975-2010), non solo Pasolini
Storie di demolizioni da Veltroni ad Alemanno. 25 milioni per ‘allagare’ l’Idroscalo di Ostia, 10 milioni per abbatterlo. Si raddoppiano i cantieri navali (che inquinano il Tevere) mentre il Comune di Roma millanta la proprietà dell’Idroscalo, che invece è del Demanio. Progetti ideati da Veltroni che Alemanno esegue con illegittimi sgomberi come quello del 23 febbraio u.s. Questi i principali risultati dell’incontro che ha proposto la trasformazione dell’Idroscalo in Idroburgo.
Ieri, lunedì 18 ottobre 2010, presso il Centro “Affabulazione”, si è tenuto l’evento “Idroscalo di Ostia, non solo Pasolini”. A 35 anni dalla morte di P.P. Pasolini e a 8 mesi dal fallito sgombero di Alemanno, l’Idroscalo di Ostia ha voluto tornare a far parlare di sé, ma in una veste nuova, sfatando i luoghi comuni che lo circondano.
Se sulla morte del poeta e grande intellettuale ancora esistono dubbi, la certezza è che il corpo fu trovato ben più vicino ad Ostia che all’Idroscalo. L’immagine di questa area come luogo di degrado, abusivismo, irregolarità è stata utilizzata sia da Veltroni (la mente) sia da Alemanno (il braccio) ed è servita, nel corso di questi anni, per sostenere la ‘delocalizzazione’ di tutta la comunità che vive da 50 anni alla foce del Tevere. Pretestuosa anche la valutazione del rischio idrogeologico dell’area. E’ stata, infatti, l’Autorità di Bacino del fiume Tevere ad affermare che, per salvare Fiumicino dalla piena di riferimento (quella devastante, ricorrente ogni 200 anni) si debba costruire un manufatto ripartitore a Capo due Rami (progetto TE19), deviando tutta l’acqua del Tevere sul ramo di Fiumara Grande, liberando così il canale di Fiumicino. La stessa Autorità non si è però mai curata di dragare il fiume, di regolare le aree di esondazione a nord di Castel Giubileo, di realizzare casse di espansione e nuove dighe oltre quella di Corbara, affidandosi invece alle ‘traverse’ di Alviano, Ponte Felice, Nazzano e Castel Giubileo, puri e semplici sbarramenti. Il progetto del ripartitore di Capo due Rami (costo previsto: 25 milioni di euro) è fermo dal 2003, mentre è andata avanti la politica dello sgombero di tutto l’Idroscalo di Ostia da parte dei Sindaci di Roma che si sono susseguiti dal 2001. Nessuno però parla del fatto che dal 1983 è stato adottato il Piano di Zona A7 “Idroscalo”, ma che ancora si cercano i terreni; nessuno parla del raddoppio dei cantieri navali, che inquinano il Tevere; nessuno parla del fatto che sarà costruito (per un importo di 5,7 milioni di euro) un edificio faro presso la foce del Tevere, all’interno del quale sono previsti un ristorante e un albergo, così come nessuno parla dei 5 milioni di euro per la creazione di un parco intorno al faro, nell’area demaniale (mai passata al Comune di Roma), che Alemanno ha invaso il 23 febbraio 2010 con una finta ordinanza di protezione civile. Nessuno che si sia domandato fin’ora perché siano previsti investimenti per centinaia di milioni di euro per un’area ‘a rischio idrogeologico’.
Gli affari del porto e dei cantieri navali, che sono come gli abitati dei residenti ugualmente a rischio per colpa di un argine mai realizzato all’interno del Programma di Riqualificazione Urbana di Ostia Nuova, non possono condizionare il futuro di oltre 500 famiglie.
La storia ci insegna che l’antica città di Ostia visse per secoli nelle stesse condizioni e che, per evitare le inondazioni a Roma, si aprì (non si chiuse, come vuole fare l’Autorità di Bacino) la Fossa Traiana, oggi Canale di Fiumicino. Così come ci insegnano paesi come l’Olanda che i progetti di “floating cities” (città galleggianti, in aree soggette ad allagamento) sono ormai la realtà presente e futura con cui confrontarsi.
Gli abitanti dell’Idroscalo non corrono altri rischi se non quelli generati dalla speculazione su queste terre.
Da Idroscalo a “Idroburgo”, dal vecchio concetto di inquinare il Tevere, attraverso l’ampliamento dei cantieri navali, a quello innovativo di ‘pianificazione didattica’, un percorso con il quale coinvolgere i residenti nel progetto di costruzione del loro insediamento pensandolo come un quartiere ecologico. I soldi ci sono, basta saperli spendere bene e non perdere l’occasione per esportare un nuovo modello di politica urbana, che veda al centro la socializzazione della rendita, affinché la trasformazione di un territorio non rappresenti una mera occasione di valorizzazione immobiliare.
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