Della serie: a volte ritornano.
In aula Massimo Di Somma nel XIII Municipio, c’è la bandiera tricolore, quella della città di Roma e quella europea, la foto del capo dello Stato e il crocifisso. Come in tutti i luoghi Istituzionali. Simboli di parole che hanno perso di significato in questo Paese.
E’ accaduto ciò che nella storia risorgimentale e unitaria sembrava impossibile, assurdo, da incubo: vivere in uno Stato mafioso, fuorilegge, senza più una Costituzione rispettata.
In Italia i giochi mafiosi sembrano quasi fatti, un nuovo sultanato affaristico e criminale è ormai al potere a tutti i livelli, anche quelli locali, e dispone di corpi armati, di leggi ad personam, di privilegi, di impunità. Il voto democratico alle idee e alle persone meritevoli è stato sostituito dal voto al partito di raccolta dei ricchi sempre più ricchi, dei potenti sempre più potenti, quali che siano i simboli e le bandiere dietro cui si presentano. La democrazia è diventato un gioco delle parti indecente: i partiti vengono scelti e scambiati in continuazione, usati per violare le leggi, ottenere privilegi, prebende, finanziamenti, per fare affari comodi e abusivi. Il tutto avviene fuori da ogni controllo legale e persino professionale. Nel linguaggio e nell'ideologia mafiosi, non a caso la parola amicizia ha sostituito le altre virtù, quali onestà, giustizia, bontà; a una persona non si chiede più di avere queste virtù impegnative, difficili, basta che sia amico. Il modo di pensare mafioso, la catena mafiosa degli amici degli amici è diventato dominante. Basta servire e approfittare. Dopo rimane solo il baratro dell’autoritarismo.
Chi è passato per il lungo viaggio dentro i fascismi lo sa. E’ così che accade: passo dopo passo, si arriva alla riduzione prima e alla perdita poi della libertà. Vige la paura borghese per ogni riformismo, il progressivo distacco dall'antifascismo come vigilanza e impegno continuo, il revisionismo storico presentato come rigore intellettuale per far passare la diffamazione della democrazia, le piccole e grandi viltà, i piccoli e grandi profitti di chi salta sul carro del vincitore, trasversalità, brandita come una clava, per coprire le impudicizie e le vergogne proprie e altrui, in nome di una libertà che viene confusa con il libero arbitrio.
La legge non è più uguale per tutti, come campeggia in tutti i palazzi di giustizia italiani.
Ieri ad Ostia è accaduto qualcosa che non si vedeva da anni in questo territorio. Oltre 500 persone (e lo sappiamo perché abbiamo appositamente dato i palloncini per contarci) hanno manifestato non solo per urlare la vergogna di un premio culturale ad un pidduista e criminale come Gelli, ma soprattutto perché si sono riconosciuti come cittadini che vogliono il rispetto dovuto per legge da chi dovrebbe rappresentare lo Stato della Repubblica Italiana e gli Italiani tutti. Rispetto per i morti delle stragi, rispetto per i valori costituzionali, rispetto per la legalità, per la trasparenza, per la giustizia, per la cosa pubblica. Nelle loro diversità culturali hanno affermato un valore fondamentale: la democrazia non è negoziabile. Hanno compreso che se aspettano i giorni in cui cadono le foglie forse saranno anche cadute le residue libertà.
500. Pochi ? Forse. Ma erano sempre di più delle persone sedute al teatro Manfredi, molte, molte di più, malgrado l’ostracismo dell’informazione locale, asservita e servile ai poteri e non all’informazione. E’ solo l’inizio. Quei 500 si riprendono quello che gli appartiene: i loro diritti, tutti.
Perché il metodo del “panem et circenses” è arrivato al capolinea.
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